C’è una ragazza che siede, da oltre vent’anni, nel paradiso dei martiri algerini per la libertà. Si chiamava Katia Bengana e, a distanza di 21 anni, resta un esempio per tante giovani perchè è, ancora oggi, il simbolo del coraggio e delle determinazione. Coraggio perchè si rifiutò, come avevano cercato di imporle i jihadisti, di indossare il velo integrale; determinazione perché difese la sua scelta anche quando il suo boia le punto il fucile alla testa facendola esplodere sotto i proiettili. Katia è stata e resta un’eroina di cui l’Algeria ha ripreso con vigore a onorare il ricordo sotto la spinta emotiva delle efferatezze dell’Isis.
Le poche immagini conosciute di Katia mostrano una ragazza bellissima e dallo sguardo fiero, come sono le donne kabile, note in Algeria per la durezza del loro carattere, ma anche per come sanno difendere le loro conquiste. E lei, Katia, la sua conquista l’aveva avuta quando, studentessa eccellente, era riuscita ad avere la possibilità di frequentare il liceo di Meftah (ad una cinquantina di chilometri da Algeri) che ogni mattina raggiungeva in autobus da El Kseur, dove risiedeva con la famiglia. Erano gli anni ’90, quelli della guerra civile e dei massacri indiscriminati. Il jihad – a quel tempo targata Gia – conduceva due battaglie, entrambe feroci: con l’Esercito, che non le dava quartiere; contro tutti coloro che non si piegavano alla loro idea dell’Islam.
Nella loro cieca visione, i terroristi del Gia minacciavano le donne di morte se non si fossero abbigliate col velo integrale (famosa la spettacolare provocazione del 1994 quando Algeri si svegliò letteralmente tappezzata di manifesti che annunciavano l’esecuzione delle donne che disobbedivano). Katia non solo rifiutò le minacce, ma cercò di convincere le sue amiche a fare come lei, a continuare a vestirsi come volevano, magari con gli abiti della tradizione kabila. Troppo per i jihadisti che, evidentemente avevano occhi ed orecchie ovunque. La mattina del 28 febbraio del 1994, mentre Katia stava percorrendo a piedi il tratto di strada dalla fermata del bus al liceo, un gruppo di ‘barbuti” l’accerchiò e la costrinse ad inginocchiarsi per ascoltare le sentenza di morte emessa contro di lei, immediatamente eseguita sotto gli occhi di testimoni terrorizzati, tra cui compagni di scuola della ragazza.
L’Algeria non ha dimenticato Katia Bengana soprattutto in Cabilia che l’ha eletta a simbolo di una regione irrequieta e dalle pulsioni indipendentiste. Ed in Francia una strada di Villefontaine, nella regione di Grenoble, porta il suo nome. Ogni anno, nell’anniversario della sua morte, la piccola stele di marmo bianco, che porta scritti in verde solo il suo nome e le date entro le quali s’è svolta la sua giovanissima vita, viene coperta da fiori bianchi e rossi da coloro che, nel 1994, erano suoi amici e ora ne hanno raccolto l’eredità morale.
(fonte: ansamed)