Per la prima volta in Algeria le donne saranno ammesse al Consiglio degli ulema in qualità di ‘mufti’. È quanto ha dichiarato il ministro algerino degli Affari religiosi, Muhammad Aysa, in un’intervista al quotidiano locale ‘Echorouk’. «Alle donne sarà affidato il compito di illuminare le algerine e rispondere alle varie problematiche che esse incontrano nella loro vita quotidiana», ha detto il ministro, sottolineando come «moltissime algerine sono in possesso di una ricca cultura che permette loro di emettere delle fatwa», ossia gli editti di natura giuridico-religiosa, funzione che a tutt’oggi è appannaggio degli ulema.
Del resto, è ciò che già accade in molte moschee, dove spesso «le donne che svolgono la funzione di guida religiosa si sono trasformate in mufti, grazie alle loro conoscenze scientifiche e alla loro preparazione universitaria», ha aggiunto Aysa. Positive le reazioni tanto dal mondo politico che da quello religioso. La parlamentare Asma Ben Qada si è detta convinta che il coinvolgimento delle donne nella sfera religiosa ufficiale «è diventato una necessità», tanto più che la funzione del mufti «non è legata al sesso», bensì alle competenze e alla preparazione.
Anche il presidente della Lega algerina degli ulema musulmani, Abdelrazzak Qasoum, ha affermato che «l’esercizio della funzione di mufti da parte delle donne non è haram (ossia vietato, ndr) nell’Islam», al contrario «bisogna che la donna conosca a fondo la religione per potersi esprimere sulle questioni che riguardano le donne», problematiche rispetto alle quali «gli sheykh potrebbero provare imbarazzo». Secondo Qasoum, «chi ritiene che la donna non possa fare il mufti è ignorante e non capisce nulla di religione».
Parere analogo è espresso dal coordinatore generale del Sindacato nazionale degli imam, Djelloul Hodjeimi, secondo cui «essere uomo non è condizione per svolgere funzione di mufti», senza contare che «l’assenza di donne mufti nel Paese è causa di una certa ignoranza religiosa da parte delle algerine».