Occorre una scadenza in Libia: o si trova subito l’accordo su un governo di unità nazionale, oppure serviranno anche aiuti militari. Ne è convinto l’ambasciatore del Paese nordafricano all’Onu, Ibrahim Dabbashi, secondo cui tale termine potrebbe essere la fine di marzo. «Dovrebbe essere fissato un limite entro il quale le milizie devono lasciare la capitale e deve essere formato un governo di unità nazionale, oppure agli sforzi politici devono affiancarsi quelli militari – spiega Dabbashi parlando con l’ANSA – E io penso alla fine di marzo». Il delegato del governo libico di Tobruk sottolinea che è necessario il sostegno della comunità internazionale. E in questo scenario l’Italia deve avere un ruolo guida: «per motivi storici, e per interessi economici, l’Italia deve avere la leadership, la guida in questo sforzo internazionale».
Dabbashi confessa però di non essere molto ottimista sulla formazione di una coalizione di governo. Anche se dice di avere fiducia negli sforzi dell’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon, per lui «il problema sono le milizie, che non vogliono negoziare e non vogliono lasciare Tripoli». E se gli sforzi politici non andranno a buon fine, «bisogna dare gli strumenti al governo legittimo per combattere i terroristi». Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’ambasciatore chiede di rimuovere l’embargo delle armi al governo considerato legittimo della comunità internazionale, sottolineando che l’esercito ufficiale libico è pronto ad accettare un osservatore per garantire che le armi approvate dalla commissione siano consegnate a chi di dovere.Inoltre, domanda «il via libera a qualsiasi Paese che sia in grado di assistere l’esercito libico per combattere il terrorismo».
«Per esempio con un’integrazione degli sforzi dove non arriviamo con le nostre forze – afferma – ma anche con intelligence e assistenza logistica». Non chiede invece «nessuna operazione di terra da parte degli stranieri»: ‘No boots on the ground’ è una condizione per tutti i libici. A suo parere, tuttavia, «la situazione è più che mai vicina a quella del 2011, quando la comunità internazionale si rese conto che non c’era nessuna soluzione politica alla crisi nel Paese nordafricano». «Allora Gheddafi non voleva lasciare il potere – continua – Adesso ci troviamo a fronteggiare la stessa situazione, con Tripoli che non vuole negoziare, e non ha richieste politiche precise». A questo punto, «non sembra rimanere molta scelta se non quella da parte nostra di combattere e di riprendere la capitale».
(Valeria Robecco – ANSA)