(Alessandro Aramu) – La politica ambivalente di Arabia Saudita e Qatar impone all’Europa – e all’Italia in particolare – di ridefinire la propria strategia diplomatica e di relazioni in conseguenza ai grandissimi cambiamenti verificatisi negli ultimi anni in Medio Oriente e nel Mediterraneo. Le due monarchie svolgono un’attività molto importante per il nostro paese. Si tratta di mercati fondamentali per le economie europee, non solo in termini di investimento ma anche per le importazioni ed esportazioni di numerosi prodotti.
Queste relazioni economiche costituiscono una boccata di ossigeno per le imprese nazionali e rappresentano uno sbocco privilegiato in un mercato globale che negli ultimi anni ha subito una forte contrazione negli investimenti. I due paesi del Golfo, inoltre, hanno il pregio di portare avanti politiche di lunghissimo termine, una caratteristica che consente agli operatori economici e alle imprese di programmare la loro attività nel tempo.
Questi stessi paesi, però, sono il grande ombrello sotto il quale si nascondono molti gruppi armati che stanno insanguinando la Siria e l’Iraq. Uno scudo la cui ombra è arrivata, spesso condizionandone la politica interna, anche in Egitto, Libia e Tunisia.
In questo momento il Free Syrian Army, l’organizzazione dalla quale era nata l’opposizione ad Assad, come una costola dissidente dell’esercito, non esiste più. Anche se è improprio dirlo, queste milizie erano espressione di un Islam laico (un concetto che non esiste nell’Islam in quanto esistono solo «Islam» e «islamista»). Oggi l’intero corpo dell’opposizione al governo siriano è costituito da due realtà: da una parte vi sono i gruppi salafiti, che costituiscono il Fronte islamico unito, dall’altra vi sono i gruppi jihadisti del Fronte al-Nusra (formalmente legata ad al Qaeda) e dello Stato islamico dell’Iraq.
Il Fronte islamico unito è supportato economicamente dall’Arabia Saudita e dal Qatar, mentre il Fronte al-Nusra e lo Stato islamico dell’Iraq attingono le loro risorse principalmente dal racket che operano nel territorio o, in generale, attraverso qualche donatore non sempre identificabile. In passato questi gruppi hanno certamente ricevuto aiuti dalla Turchia e dalle stesse monarchie del Golfo.
In questo scenario è imbarazzante per il nostro Governo fare affari con due Stati che con una mano porgono importanti opportunità economiche per l’Italia e con l’altra contribuiscono a insanguinare un paese il cui scenario di morte e disperazione ha messo in crisi la politica estera dell’Occidente. Americani, francesi e britannici hanno deciso di sospendere ogni aiuto in Siria perché, come ha sottolineato giustamente Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (CESI): “si sono resi conto che in questo momento non c’è altra forza che combatta contro Assad che non sia una forza radicale”. Dietro queste forze radicali, sovente ci sono quei paesi con i quali i governi europei, Italia in testa, hanno importanti accordi commerciali.
Il dilemma è tutto legato al peso che l’Italia vuole dare alla stabilizzazione di un’area in cui operano due importanti partner commerciali. Occorre ridefinire una priorità di azioni, anche in politica estera. Non ci si può sedere intorno a un tavolo ignorando il ruolo che Arabia Saudita e Qatar svolgono nelle crisi in Medio e Vicino Oriente. Fino a che punto la realpolitik può essere cinica e pensare unicamente al portafoglio senza mai dare uno sguardo alle conseguenze che quei conflitti hanno anche sull’economia interna di uno stato?
La crisi in Egitto, per fare un esempio, ha dimostrato che non si possono trattare quei due paesi come dei semplici agevolatori di investimenti trascurandone il peso negli equilibri geopolitici del Mediterraneo. Basti pensare che gli Stati Uniti hanno tolto ai militari 1,5 miliardi di dollari di aiuto che i sauditi hanno sostituito con 12 miliardi di dollari. Una risposta forte al Qatar che, invece, aveva sostenuto il governo dei Fratelli Musulmani e la presidenza di Muḥammad Mursī. Nel corso della cosiddetta “primavera araba”, il Qatar ha sostenuto i movimenti islamisti anche in Tunisia non solo con finanziamenti ma anche mediaticamente attraverso il famoso e potente canale televisivo Al Jazeera.
In questo contesto è del tutto evidente che occorra una linea italiana autonoma da quella americana ed europea. Una linea che consideri diritti umani e interessi economici come elementi di una stessa partita, per fronteggiare non solo l’ambivalenza ma anche l’ambiguità di due realtà che con la forza del proprio denaro determinano le sorti di alcune aree del mondo con l’imbarazzante assenza dei governi occidentali. (twitter@AleAramu)
Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014).