ANALISI/ Trump e la Strategia di Sicurezza Nazionale: un compromesso tra isolazionismo e imperialismo moderato


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(Bruno Scapini)- Credere di poter liquidare il documento appena rilasciato dall’Amministrazione americana sulla Strategia di Sicurezza Nazionale come una delle tante dottrine cui sono solitamente dediti i Presidenti che si succedono alla Casa Bianca, sarebbe un grossolano errore.

L’atto di Donald Trump si discosta, infatti, da altri simili pronunciamenti dei suoi predecessori – spesso associati ad astrattezza e dogmatismo militare – distinguendosi soprattutto in termini di “realismo” per le sue connotazioni pragmatiche avulse da matrici ideologiche preconcette.

Quella di Trump non è adesione acritica ed estemporanea ad un credo politico, bensì l’esito di una riflessione sulla fratturazione profonda che affligge ormai da qualche anno la vecchia tradizionale compattezza del mondo occidentale.  Non più nemici da combattere oltre la “first line of defence” (prima linea di difesa), anzi, il recupero di un rapporto di cooperazione proprio con il nemico da sempre volutamente singolarizzato e identificato con la Russia, sembra oggi la prospettiva più accreditata per disporre di una garanzia, percepita come necessaria dagli Stati Uniti, per poter volgere lo sguardo fuori dai tradizionali teatri di intervento. Causa primaria di questo ripiegamento su stessa dell’America – come preconizzato dal documento – pare essere ancora una volta l’Europa.

Già con Wilson, nel lontano 1919, l’America ebbe a retrocedere dall’iniziativa assunta in quei fatidici 14 punti intesa a dare un nuovo volto alla Comunità internazionale nata dalle ceneri della Prima Guerra mondiale.  Allora furono proprio gli europei, con le loro cavillose sofistiche ragioni e paralogismi a determinare il fallimento della Società delle Nazioni. Oggi lo scenario sembrerebbe quasi ripetersi come in un gioco di cicli e riclici storici: ancora una volta gli europei si pongono di traverso nel corso di pacificazione avviato dall’Amministrazione americana e tentano in tutti i modi di destrutturarne il ruolo delegittimando la stessa figura del Presidente.

E’chiaro ormai, se solo guardiamo alle più recenti dinamiche instauratesi nel dialogo euro-atlantico, come Stati Uniti ed Europa viaggino oggi su due binari grossolanamente divergenti. E proprio alla luce di tale divaricazione comportamentale si giustificherebbe quella ridefinizione del ruolo di Washington delineata nella nuova strategia di sicurezza americana.  Non c’è più intesa su nessun tema tra le due sponde dell’Atlantico. L’Europa – dice Trump – non è più il partner affidabile di un tempo. Lo comproverebbe non soltanto l’ostruzionismo opposto in termini surrealisti da Bruxelles a qualsiasi tentativo di pacificazione in Ucraina, ma anche la proterva insistenza dei “volenterosi” a perseguire una fantomatica quanto impossibile sconfitta strategica della Russia, e la intransigenza dell’Unione Europea nel gestire le varie transizioni perseguendo interessi inconciliabili con quelli americani. Non da ultimo c’è infine il fondato sospetto di un collegamento delle attuali leadership europee con quelle forze del “Deep State” americano contro le quali proprio Trump starebbe oggi combattendo la sua battaglia.  

Ecco allora spiegato come il documento della Casa Bianca venga ad acquistare il senso e il contenuto di una vera e propria requisitoria nei confronti dell’Europa. La civiltà europea – si afferma nel testo – è destinata a scomparire entro i prossimi 20 anni, essendo i Paesi che la incarnano vittime delle loro stesse azioni. Il che rileverebbe con riguardo ai flussi migratori incontrollati, alle restrizioni imposte alle libertà civili e alle politiche sociali, come pure alla tendenza autocratica delle istituzioni di Bruxelles. Un corso politico, quello europeo, che insomma metterà a rischio il mantenimento della identità del Vecchio Continente rendendolo irriconoscibile nei suoi tratti storici tradizionali.

Non solo, ma c’è un punto del documento che ad uno sguardo più analitico sembrerebbe fondamentale per comprendere l’essenza della nuova strategia americana: l’Europa – si afferma esplicitamente – dovrà assumere un ruolo difensivo maggiormente autonomo e indipendente da quello degli Stati Uniti, alleggerendo così al contempo il peso su di essi attualmente gravante.

Evidente, a questo punto, la progettazione di un graduale disimpegno americano dall’Europa. L’Europa dovrà bastare a se stessa – è questa l’ulteriore implicazione che si deduce dal documento – affinché l’America possa guardare altrove per curare i propri interessi nazionali in altri oggi più sensibili scacchieri del Pianeta quali principalmente quello dell’emisfero occidentale (con riferimento all’America Latina) e l’Indo-pacifico.  Con questa prospettiva, si comprende chiaramente il perché dell’accelerazione impressa da Trump ai negoziati per  una rapida soluzione del conflitto russo-ucraino. Recuperata l’intesa con Mosca, e assicurata l’auto-sufficienza difensiva dell’Europa, gli Stati Uniti potranno considerarsi finalmente esonerati da quel ruolo di “gendarme del mondo” – e di protettore degli europei – che gli eventi della II Guerra mondiale avevano loro imposto.

Si prefigurerebbero così, con questo nuovo documento programmatico della Casa Bianca, cambiamenti radicali ed incisivi nelle prossime dinamiche internazionali; e ciò in termini non solo strategici, per preservare un primato utilitaristico a livello globale per gli Stati Uniti, ma anche concettuali, ovvero come metodo di approccio sotteso alla preannunciata nuova visione del mondo di cui Trump si fa inattaccabile demiurgo.

Trump non vede nessun ordine internazionale da proporre e difendere. Né ammette una contrapposizione tra democrazia e autocrazia per intervenire. Nella sua prospettazione non c’è dimensione ideologica, ma avanzamento per puro consenso. La sua America rifiuta l’egemonia della forza su scala planetaria, e guarda invece ad un futuro economico da conquistarsi attraverso pacifiche relazioni e non più tramite una “evangelizzazione” liberista dell’interventismo militare che ha impregnato finora di sé la politica estera del Paese mascherando la penetrazione violenta dei mercati esteri con la missione tesa all’esportazione di un necessario modello di democrazia universale.

Realismo utilitaristico e interessi nazionali in primo piano sarebbero, dunque, gli obiettivi della nuova strategia americana. Mentre un approccio più flessibile verrebbe evocato soprattutto nei riguardi delle altre superpotenze; un espediente tattico volto ad evitare rischi di coinvolgimento con interventi prolungati e costosi al di fuori delle aree di stretto interesse nazionale.

Certamente, il piano strategico di Trump non prelude a tempi sereni per l’Europa. Le aspre critiche contenute nel documento, e di cui lo stesso Vice Presidente Vance si fa spesso interprete, prefigurano scenari alquanto ascosi per i rapporti euro-atlantici. E al riguardo una conclusione sembrerebbe scontata: se l’ordine globale potrà trarre giovamento, in termini di distensione tra superpotenze, dal cambiamento di rotta impresso da Trump, sarà probabilmente l’Europa a soffrirne per via del rischio di instabilità cui andrebbe incontro a causa della spinta alla frammentazione che un radicale mutamento di segno positivo nelle relazioni russo-americane verrebbe ad implicare.

In questo pro-gettato futuro scenario potrebbero tuttavia, e plausibilmente, emergere anche elementi controversi. Questi si identificherebbero, in particolare, nelle linee non solo di una ricalibrazione dei rapporti di forza sul piano militare tra le due sponde dell’Atlantico, ma anche di una riprogettazione in senso propriamente strategico del modulo difensivo della NATO. Al suo interno potrebbero, infatti, acquistare plausibilmente di credibilità due ipotesi sostanziali: un rafforzamento del ruolo militare della Germania –  e già i segnali sarebbero drammaticamente visibili – con spostamento del baricentro strategico dalla periferia europea verso Berlino, e l’interesse di molti Paesi dell’arco orientale del Continente, ad uscire dall’Alleanza Atlantica per assumere una posizione di neutralità quale migliore garanzia possibile di sopravvivenza nel caso dovesse riprendere vigore il temuto, quanto temerario, obiettivo di una  nuova “lebensraum” (spazio vitale) per la Germania. Del resto, confermerebbe questi timori l’attuale risveglio di Berlino su un tema in fondo mai assopitosi a livello nazionale: la “mittelage”, ovvero, la questione della centralità della Germania nel contesto europeo.

Notevoli, dunque, le novità introdotte dal documento strategico della Casa Bianca, le cui implicazioni, appena oggi percepibili come ipotesi, potrebbero tuttavia trovare conferma proprio negli esiti dell’attuale corso politico intrapreso da un Trump sempre più determinato a gestire il dialogo con Mosca in via esclusiva e senza controproducenti   intermediazioni europee.   


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