Attacco chimico in Siria: così il giornalismo ha perso la sua sfida


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(Alessandro Aramu) – La notizia nella sua brutalità è questa: circa 60 persone sono state uccise in Siria, e precisamente nella regione di Idlib, a seguito di un bombardamento con armi chimiche. La notizia è stata diffusa dai gruppi di opposizione anti Assad, definiti in modo generico “attivisti”, e rilanciata dall’Osservatorio Siriano per i diritti umani con sede a Londra. Nessun dei soggetti che ha diffuso la notizia attraverso video e foto è una fonte indipendente. Malgrado ciò, con assoluta certezza è stato affermato che i responsabili del bombardamento chimico fossero dapprima i russi e, in un secondo momento, le forze aeree siriane. Questa affermazione, di parte e non verificata da nessuna fonte indipendente, è diventata “la verità”, anzi l’unica verità, e come tale è stata rilanciata a livello mondiale dalle agenzie e da tutti i media.

Il meccanismo perverso dell’informazione – o della disinformazione – ha generato una serie di prese di posizione politiche dalle quali, come è noto, possono discendere scelte molto pericolose per la già precaria situazioni in Siria. Il mostro, come capita sempre in questi casi, è Assad. A nulla sono servite le smentite categoriche dell’esercito siriano che ha chiarito di non essere in possesso di armi chimiche e di non aver “mai usato queste armi, in alcun momento o in alcun posto”, e di non aver intenzione di farlo “mai neanche in futuro”.

Damasco ha ribadito, inoltre, di aver rispettato tutti gli obblighi assunti nel 2013 con l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac), a cui la Siria ha consegnato  tutto il proprio arsenale chimico. Semmai, nessuno si è preso la briga di leggere i numerosi rapporti degli ultimi anni e degli ultimi mesi che attribuiscono allo Stato Islamico, ad Al Qaeda e a numerosi gruppi ribelli jihadisti che operano nel nord della Siria una capacità notevole di costruire e utilizzare le armi chimiche. Circostanza di cui sono a conoscenza sia le Nazioni Unite che i governi occidentali, Stati Uniti in testa.

Nessuno si è preoccupato di verificare che cosa ci fosse nel sito oggetto del bombardamento. Nessuno si è preoccupato di indagare su chi fossero le vittime e perchè fossero lì. Tutto ciò non è irrilevante nella ricostruzione di un fatto e nel percorso che ogni giornalista deve compiere per verificare la fondatezza di una notizia. Nessun media ha verificato la fonte, si è semplicemente limitato a riproporre quanto asserito dai gruppi anti Assad in una regione dove operano numerose sigle jihadiste, a partire da Al Qaeda. Sono, costoro, gli stessi che in Europa chiamiamo terroristi ma che, per opportunità e propaganda anti siriana, consideriamo di volta in volta, a seconda delle convenienze, “attiviti”, “ribelli”, “ribelli moderati”, “oppositori”, “terroristi”, “islamisti”, “jihadisti”.

Questa verità è servita ai governi occidentali per assumere posizioni molto pericolose. Tutto ciò molto prima che fossero condotte indagini indipendenti per verificare il vero responsabile di quelle morti. Su tutte, mi preme ricordare le dichiarazioni dell’ineffabile Federica Mogherini, l’alto rappresentante dell’Unione europea (UE) per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ha affermato: “Il regime di Assad ha la responsabilità dell’attacco chimico in Siria”. Fa effetto sapere che la Mogherini prende per buoni i video diffusi da al Qaeda e li consideri persino una fonte affidabile. E’ una legittimazione del gruppo terroristico che spiega l’inettitudine dell’Europa a contrastare in modo efficace, se non a parole, il terrorismo di matrice islamico/jihadista.

A questa verità, conclamata, si è aggiunta nella notte un’altra verità, questa volta supportata da prove e da immagini satellitari. E’ arrivata dalla Russia.  “Non è stato un attacco con armi chimiche condotto dall’aviazione siriana: le armi chimiche erano contenute in un arsenale dei ribelli che è stato colpito dall’attacco aereo di Damasco”.

A differenza di tutti gli altri, il portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Igor Konashenkov, citato dall’agenzia russa Tassha mostrato ciò che i giornalisti sanno da tempo, almeno quelli che conoscono un minimo la situazione in Siria: nella zona di Idlib, in mano ai gruppi ribelli, si producono armi chimiche. Questi depositi sono il naturale bersaglio delle forza aeree russe e siriane perchè la loro distruzione, che pure può causare delle vittime, ne può salvare molte altre. Ecco che cosa ha detto in breve Konashenkov: “Secondo i sistemi russi di monitoraggio dello spazio aereo, ieri tra le 11.30 e le 12.30 l’aviazione siriana ha condotto un raid aereo nella periferia orientale di Khan Sheikhun, colpendo un importante deposito di munizioni e una fabbrica di armi, contenente proiettili con agenti tossici”.

L’orario indicato da Mosca, però, sarebbe successivo rispetto a quello reale dell’attacco, se prendiamo per buone le notizie che sono arrivate dagli oppositori di Assad. La notizia del bombardamento, infatti, era stata data da diversi tweet già dalla mattina presto. Non si tratta di una circostanza probante visto che, come vedremo in seguito, l’opposizione siriana nel corso della guerra ha pubblicato spesso notizie su eventi, veri o presunti, che in modo puntuale si sono verificati successivamente. Un’indizio inquietante su come si costruisce una notizia o si manipola un’informazione. Ma è solo un indizio, appunto. Ci riserviamo anche in questo caso il beneficio, malevolo, del dubbio.

Dal deposito colpito dall’esercito di Damasco, secondo Mosca, provengono le armi chimiche usate dai miliziani jihadisti in Iraq e dall’opposizione armata ad Aleppo, lo scorso autunno. “Le immagini diffuse sul web mostrano le persone affette dagli stessi sintomi di avvelenamento” riportati dalla popolazione di Aleppo, ha chiarito, in proposito, Konashenkov. Prove che però non sono servite al sistema propagandistico dei media internazionali a scagionare Assad. La logica, funesta, dell’informazione globale è più o meno questa: il cattivo è chi distrugge un deposito di armi chimiche e non chi le produce. Il mondo va alla rovescia, sia nel sistema dei valori etici e morali, che nella considerazione che i governi occidentali hanno su ciò che è pericoloso e ciò che non lo è.

Entrando nella notizia, i media hanno raccontato ben poco della guerra in corso tra gli attivisti o ribelli moderati da una parte e i gruppi qaedisti dall’altra. Non è noto che i primi abbiano accusato al Qaeda e la loro ong di riferimento, i cosiddetti “Caschi Bianchi”, di aver in qualche modo “manipolato” i cadaveri e di averlo fatto senza un equipaggiamento di sicurezza degno di questo nome, privi di maschere e guanti utili a proteggere i soccorritori dagli effetti terribili del gas Sarin.

Insomma, i gruppi anti Assad accusano la ong vicina ad al Qaeda di danneggiare la loro azione mediatica, assumendo comportamenti non consoni a un attacco chimico. Come è noto, pochi secondi di esposizione al gas nervino producono effetti letali sui muscoli e sul sistema nervoso. Si vomita e si urina in modo indotto dopo pochissimo tempo. Il Sarin è un gas nervino della famiglia degli organofosfati, classificato come arma chimica di distruzione di massa.

I Caschi Bianchi, miracolosamente, sembrano essere immuni da tutto ciò. E lo fanno a beneficio di telecamere. E’ noto che quando  il sarin viene utilizzato in un’area concentrata, può uccidere migliaia di persone. Eppure, di fronte a un gas così pericoloso, i caschi bianchi hanno trattato i corpi senza alcuna precauzione, sempre con il volto ben rivolto alle telecamere. Se un giornalista non si pone dei dubbi di fronte a queste immagini, è bene che cambi mestiere. Il Sarin è una sostanza terribile perché la sua stessa nascita evoca un periodo buio della storia del secolo scorso: fu prodotto per la prima volta nel 1938 da due scienziati nazisti durante i tentativi di sviluppare sostanze ad azione biocida.

E interessante a proposito la dichiarazione dell’esperto di armi chimiche, Matteo Guidotti, dell’Istituto di Scienze e Tecnologie molecolari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Istm-Cnr): “Userei una certa cautela nell’affermare che nell’attacco chimico avvenuto  in Siria sia stato utilizzato il gas Sarin. Ho già visto in passato immagini e video di persone colpite con il Sarin e i segni erano molto più evidenti – ha spiegato Guidotti -: i corpi sono madidi di sudore, lacrime, saliva ma soprattutto escrementi. I soggetti intossicati generalmente vengono colpiti da fortissime convulsioni. E dai video diffusi localmente non si vede tutto questo”. “Ma i dubbi maggiori vengono – ha sottolineato ancora il ricercatore – dalla disinvoltura con cui gli operatori sanitari maneggiano i corpi delle vittime. Molti sono senza guanti e non indossano neanche le mascherine. C’è una serie di protocolli da rispettare per evitare che anche i soccorritori vengano contaminati dall’agente tossico. “Il fatto è che è in atto una guerra di immagini con cui si fa propaganda – aggiunto – per cui bisogna avere molta cautela. Basti pensare all’effetto mediatico che un attacco chimico può avere rispetto a un attacco normale”.

E’ stupefacente, poi, che in piena emergenza un medico abbia avuto il tempo di fare una serie di tweet e di effettuare chiamate video. Il tutto direttamente dall’ospedale e quasi ignorando i tanti feriti che giungevano in quelle ore concitate nella struttura sanitaria. Tutti apparentemente colpiti dagli effetti del gas nervino. Un comportamento anomalo per un soccorritore, quanto mai sospetto vista la grande capacità dei gruppi armati ribelli e dell’opposizione di costruire finte notizie e di farle immettere nel giro di pochi minuti nel circuito mediatico internazionale.

 

Ma chi è questo medico? E’ Shajul Islam, che risulta essere la principale fonte sul posto. E’ lui ad aver testimoniato per primo gli effetti del presunto attacco chimico sulle persone. Si tratta di un volontario di nazionalità inglese accusato in Gran Bretagna di aver fatto parte della banda di miliziani che rapirono e ferirono nel luglio del 2012 il fotografo inglese John Cantlie.  Nessuno dei testimoni dell’accusa si presentò al processo e, quindi, fu scarcerato. Benché i servizi di sicurezza di Sua Maestà lo avessero messo sotto controllo (tecnicamente si chiama “attività di monitoraggio”), Islam riuscì a fuggire in Siria. L’accusa, giova ricordarlo, lo indicava come soggetto fortemente radicalizzato. Oggi, potrebbe essere un sostenitore o persino un affiliato di Al Qaeda, un particolare che nessun media italiano, con rarissime eccezioni, ha evidenziato.

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Singolare, poi, che il dottor Shajul Islam sia stato intervistato dal giornalista americano Bilal Abdul Kareem, noto simpatizzante dei gruppi jihadisti ad Aleppo est ed esperto manipolatore di notizie. Kareem era l’unico reporter a poter intervistare liberamente i miliziani qaedisti e i terroristi nella città a nord della Siria. Un particolare certamente inquietante.

Ma c’è anche un’altra circostanza che merita di essere citata. E arriva sempre da Twitter, un social media molto usato dalle forze anti Assad. L’attacco chimico, come si sa, è avvenuto il 4 aprile. Stranamente un reporter di Orient tv, il canale dell’opposizione siriana, il giorno prima ha pubblicato sul suo profilo questo post: “Domani lanceremo una campagna mediatica contro i massicci attacchi aerei e l’uso del gas cloro contro i civili nella provincia di Hama”. L’attacco, alla fine, è stato compiuto più a nord, a Idlib appunto, ma è evidente come la strategia messa in campo dall’opposizione siriana fosse stata programmata nei minimi dettagli. A questo punto resta da chiedersi chi davvero sia in possesso di armi non convenzionali.

 

 

Per la cronaca, come giustamente ha ricordato il bravo Giovanni Giacalone su Il Giornale, nell’arco di due settimane i ribelli hanno compito ben tre attacchi chimici. Altri casi, si ricorda ” si sono verificato a fine ottobre e a novembre. Mentre all’inizio della scorsa settimana esperti di una commissione russa sulle armi chimiche e biologiche avevano rinvenuto prove dell’utilizzo di bombe al cloro e al fosforo da parte dei jihadisti nella zona di Aleppo “. Nessuno ricorda una sola parola di sdegno dell’Alto Commissario Mogherini in relazione a questi fatti. I cattivi, evidentemente, sono meno cattivi quanto i media non ne parlano. Ma i media, si sa, parlano solo a corrente alternata.

Infine, occorre fare una menzione speciale a tutti quei giornalisti che hanno citato come precedente dell’attacco chimico di Idlib, quello più famoso del 21 agosto del 2013 nei sobborghi di Damasco. Attribuendo la responsabilità di questo al solito Assad, non si sono presi la briga di citare, neanche per un secondo, l’inchiesta del premio Pulitzer Seymour Hersh, secondo il quale quell’attacco non fu provocato dal governo siriano ma dai ribelli. Le accuse ad Assad, secondo il giornalista, servivano per provocare l’intervento americano nella guerra civile. Si trattava di un complotto in cui era coinvolta la Turchia di Erdogan.

Secondo la fonte riservata utilizzata da Hersh fu l’intelligence britannico, in collaborazione con i servizi russi, a fornire le prove che gli agenti chimici utilizzati non provenivano dagli arsenali del governo siriano, ma dai ribelli. “L’intelligence americano sapeva che i ribelli di al Nusra (che oggi spadroneggiano nella regione di Idlib), sostenuti dalla Turchia, stavano producendo armi chimiche. Il premier Erdogan aveva assoluto bisogno in quella fase che gli Stati Uniti intervenissero a fianco dei ribelli che stavano perdendo la guerra”.

L’inchiesta di Hersh è stata supportata anche dagli studi effettuati dal Mas­sa­chus­setts Insti­tute of Tech­no­logy con sede a Boston. Nel rapporto dal titolo ‘Le pos­si­bili impli­ca­zioni degli errori dell’intelligence sta­tu­ni­tense riguardo all’attacco al gas ner­vino del 21 ago­sto 2013’  il governo statunitense, che aveva indicato il presidente Assad come responsabile dell’attacco, venne contraddetto in modo dettagliato dalle analisi di Richard Lloyd (ex ispet­tore Onu sugli arma­menti) e di Theo­dore Postol (docente di Scienza, Tecnologia e Sicurezza Nazionale Politica). La conclusione smentiva Obama e attribuiva senza alcun dubbio la responsabilità dell’attacco chimico ai ribelli. Di tutto questo i media italiani, parlando del presunto attacco chimico a Idlib, non ne hanno fatto menzione.

Twitter@AleAramu

Alessandro Aramu – Giornalista professionista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). Per il quotidiano La Stampa ha pubblicato il reportage “All’ombra del muro di Porta di Fatima”, sulla nuova barriera che divide Libano e IsraeleÈ coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014). E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. Autore, insieme a Carlo Licheri, del docu -film “Storie di Migrantes” (2016). E’ Presidente del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria, responsabile delle relazioni internazionali del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo Onlus, Vice Presidente del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo della Sardegna.

 

 

 

 

 

 

 

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