La Tunisia è il paese che finora ha fornito il più alto numero di ‘foreign fighters’ al sedicente Stato islamico (Is) e molti di loro sono originari proprio di Susa, la località turistica colpita oggi da un attentato che ha fatto almeno 27 vittime. Secondo dati ufficiali citati in un servizio della tv satellitare al-Jazeera di novembre 2014, sui circa 3.000 tunisini che combattono con i jihadisti, un migliaio sarebbero di Susa.
Nel suo reportage, l’emittente riferiva che alcuni quartieri della città, come al-Qalaa al-Kubra, al-Riyadh, al-Shabab e Hamam Soussa, rappresentano veri e propri centri di reclutamento di potenziali terroristi, al pari di sobborghi come Herkalion, Sidi Abdelhamid e Nafidha.
Questi quartieri sono stati spesso teatro di scontri tra estremisti islamici e forze di polizia, tra cui un attacco a un commissariato nel 2012, in cui persero la vita due attivisti salafiti, e quello di un kamikaze che si fece esplodere sulla spiaggia di Susa a ottobre 2013, senza fare vittime.
Raccogliendo le testimonianze di residenti della città, al-Jazeera raccontava di come si perdano di frequente le tracce di giovani che frequentano alcune specifiche moschee di Susa e di come, nei giorni successivi, le famiglie vengano a sapere della loro partenza per la Turchia, con destinazione finale Siria o Iraq. La tv riferiva di un gran numero di questi jihadisti che sono rientrati in patria e sono riusciti a evitare di essere incriminati. Questo spingeva alcuni analisti a puntare l’indice contro le autorità tunisine.