Attivista sudanese arrestato negli Emirati: cresce la pressione sul ruolo di Abu Dhabi nel conflitto in Sudan


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Un noto attivista della società civile sudanese è stato arrestato negli Emirati Arabi Uniti (EAU), scatenando proteste e sospetti sul possibile legame tra la detenzione e le sue critiche pubbliche alle Forze di Supporto Rapido (RSF), la potente milizia impegnata da quasi due anni in una sanguinosa guerra contro l’esercito sudanese.

Arresto senza spiegazioni

Nader Maryoud, ingegnere e portavoce dei Comitati di Resistenza del quartiere di Salha a Omdurman, è stato fermato dalla polizia emiratina circa due settimane fa. La sua famiglia denuncia una detenzione “arbitraria” e senza motivazioni formali.

“Non ci è stata fornita alcuna ragione ufficiale. Sappiamo solo che Nader è stato portato via e da allora non abbiamo avuto spiegazioni adeguate”, ha dichiarato il fratello, Nizar Maryoud, chiedendo il rilascio immediato dell’attivista e l’accesso al suo avvocato.

Il Comitat o di Resistenza di Salha ha a sua volta condannato l’accaduto, sottolineando che l’arresto è avvenuto poco dopo una dichiarazione pubblica in cui il gruppo criticava le RSF e i loro abusi contro i civili.

Un conflitto devastante e un ruolo controverso

Le RSF, nate come forza paramilitare e successivamente integrate nel sistema di sicurezza nazionale, sono in guerra con le forze armate sudanesi dall’aprile 2023, dopo un fallito tentativo di fusione tra i due apparati. Il conflitto ha provocato decine di migliaia di morti e costretto circa 13 milioni di persone a fuggire dalle proprie case.

Durante l’avanzata militare, le RSF sono state accusate di atrocità diffuse: uccisioni mirate, saccheggi sistematici, violenze sessuali e attacchi su base etnica, specialmente nella regione del Darfur. Diversi governi occidentali e organizzazioni per i diritti umani hanno parlato apertamente di crimini contro l’umanità e di atti di genocidio.

Gli EAU, secondo numerose inchieste indipendenti, sarebbero il principale sostenitore internazionale delle RSF. Aerei cargo, convogli terrestri e reti logistiche che attraversano Libia, Ciad, Uganda e Somalia avrebbero trasportato armamenti avanzati destinati alla milizia. Abu Dhabi respinge le accuse, ma nuove rivelazioni e immagini satellitari alimentano i sospetti.

El-Fasher: testimonianze di massacri e atrocità

Le pressioni internazionali verso gli EAU sono aumentate ancora dopo la caduta della città di el-Fasher nelle mani delle RSF. Sopravvissuti, operatori umanitari e immagini satellitari descrivono un massacro su vasta scala: esecuzioni sommarie, violenze sessuali, uccisioni di bambini e distruzioni indiscriminate.

Alcuni testimoni riferiscono che gli uomini sono stati separati da donne e bambini e giustiziati sul posto. Famiglie intere sarebbero state tenute in ostaggio per ottenere riscatti tramite app di pagamento mobile. Le donne, oltre a essere sottoposte a perquisizioni “violente e degradanti”, sarebbero state rapite quando le famiglie non potevano pagare.

Di fronte alla gravità dei fatti, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha avviato un’indagine indipendente.

Gli armamenti forniti dagli Emirati nel mirino

Inchieste giornalistiche hanno individuato in Sudan armi prodotte nel Regno Unito, vendute originariamente agli EAU e successivamente finite nelle mani delle RSF. Amnesty International ha chiesto a Londra di sospendere immediatamente le forniture militari ad Abu Dhabi.

Anche sistemi d’arma di fabbricazione cinese — tra cui bombe guidate GB50A e obici AH-4 da 155 mm — sarebbero stati riesportati dagli EAU alla milizia sudanese, in violazione delle norme sul commercio di armamenti.

Washington e Riyadh aumentano la pressione

La diplomazia internazionale inizia a muoversi. Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha affermato che Washington “sa bene” quali Paesi stanno finanziando e armando le RSF e che intende intervenire per fermare il sostegno militare.

Parallelamente, funzionari arabi e occidentali riferiscono che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman starebbe preparando una pressione diretta sugli Stati Uniti riguardo al ruolo degli EAU. Secondo fonti vicine ai colloqui, il comandante delle forze armate sudanesi Abdel Fattah al-Burhan avrebbe detto chiaramente che la guerra non potrà concludersi senza un intervento americano su Abu Dhabi.

Detenzioni di attivisti e richieste di trasparenza

Il caso di Nader Maryoud non è isolato. Decine di attivisti sudanesi si troverebbero attualmente detenuti nelle carceri emiratine. Tra questi, Mohamed Farouk Salman, figura di spicco del movimento civico Forces of Freedom and Change, in carcere da gennaio senza accuse pubbliche.

Nizar Maryoud, oltre a chiedere il rilascio del fratello, ha avvertito le autorità emiratine sulle potenziali conseguenze di qualsiasi maltrattamento durante la detenzione: “Vogliamo solo che sia trattato con dignità e che venga liberato senza condizioni”.


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