ROMA – È durata per circa due ore, questa mattina, la protesta di alcuni attivisti filo-curdi che, con lo slogan ‘Roma per il Kurdistan’, si sono incatenati al cancello dell’ambasciata turca a Roma, per protestare contro «l’aggressione militare avviata da Erdogan con il consenso di Usa e Ue». Un riferimento alla campagna militare lanciata la scorsa settimana dalle autorità turche contro i militanti curdi del Pkk.
In un comunicato sulla protesta diffuso da alcune ong filo-curde attive in Italia, si accusa il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, «sempre più debole e isolato», di aver «lanciato una campagna contro la resistenza curda e contro le opposizioni interne». «Centinaia di attivisti – denuncia la nota – sono stati arrestati, mentre continuano i bombardamenti contro i civili curdi».
Mostrando cartelli e striscioni contro il governo turco e a favore dei militanti curdi e incatenandosi simbolicamente al cancello dell’ambasciata, i manifestanti hanno chiesto «la fine dei bombardamenti, il rilascio immediato di tutti gli oppositori al regime autoritario turco, l’eliminazione del Pkk, unico fronte all’avanzata dell’Isis e unico garante possibile per un processo di pace nell’area, dalle liste del terrorismo internazionale, il riconoscimento del confederalismo democratico del Rojava (il Kurdistan siriano) per una possibilità di pace e libertà per i popoli del Medio Oriente».
La rete Roma Kurdistan ha affermato: «Il dittatore turco Erdogan dopo le ultime elezioni non è in grado di ottenere la maggioranza necessaria a formare un governo, anche grazie alla straordinaria affermazione dell’HDP, partito capace di parlare ai curdi e a tutta la sinistra turca. Inoltre, è stato messo alle strette dall’accordo sul nucleare iraniano e, soprattutto, ha paura che l’esperienza di democrazia radicale del Rojava possa consolidarsi e diventare contagiosa. Per queste ragioni, dietro la maschera della lotta all’ISIS, Erdogan ha lanciato una campagna contro la resistenza curda e contro le opposizioni interne. Su circa 800 arresti, – ha concluso – meno del 10% riguardano presunti membri dello Stato Islamico: tutti gli altri sono militanti curdi o membri delle opposizioni».