Brasile, la caduta di Bolsonaro. 27 anni per tentato golpe


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(Federica Cannas) – Il Brasile chiude una delle pagine più buie della sua storia recente con una sentenza destinata a fare epoca. La Corte Suprema ha condannato l’ex presidente Jair Bolsonaro a 27 anni e 3 mesi di reclusione per il tentativo di colpo di Stato che seguì alla sua sconfitta elettorale del 2022. Una decisione che segna un punto di svolta. Per la prima volta un ex capo di Stato brasiliano viene ritenuto penalmente responsabile di aver cercato di sovvertire la democrazia.

Il verdetto della Prima Sezione del Supremo Tribunal Federal non si limita a una formula giuridica, ma fotografa con chiarezza la gravità dei fatti contestati. In primo luogo, Bolsonaro è stato ritenuto responsabile di aver tentato un vero e proprio colpo di Stato, nato dal suo rifiuto di riconoscere la vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva alle presidenziali del 2022. A questo si aggiunge l’accusa di aver preso parte a un’organizzazione criminale armata, composta da funzionari e settori militari pronti a sostenerlo nel progetto eversivo.

La Corte ha poi sottolineato come le sue azioni abbiano mirato all’abolizione violenta dello Stato di diritto, con l’obiettivo esplicito di sospendere le istituzioni democratiche. Non meno rilevanti i danni materiali. L’assalto dell’8 gennaio 2023 lasciò dietro di sé edifici governativi devastati, segni tangibili di un attacco al patrimonio pubblico. A ciò si somma il deterioramento di beni culturali protetti, custoditi proprio nelle sedi del Congresso e della Corte Suprema, trasformate in bersagli di un gesto che voleva colpire non solo la politica, ma anche la memoria e i simboli della nazione. Quattro giudici su cinque hanno votato per la condanna. Unico dissenso quello del magistrato Luiz Fux, che ha sostenuto l’assoluzione.

Il processo ha ricostruito la catena di eventi che portò all’8 gennaio 2023, quando migliaia di sostenitori di Bolsonaro assaltarono Congresso, Corte Suprema e Palazzo Presidenziale a Brasilia. Non fu un gesto spontaneo, ma il frutto di settimane di preparazione, alimentate dalla retorica dell’ex presidente che denunciava, senza prove, brogli elettorali.

L’inchiesta “Tempus Veritatis” ha rivelato documenti e comunicazioni che collegavano Bolsonaro e il suo entourage a piani concreti per annullare l’esito del voto, mobilitando settori delle forze armate e dei corpi di polizia.

La pena, da scontare in regime inizialmente chiuso, è accompagnata da 124 giorni di multa calcolati su due salari minimi ciascuno. Ma oltre alla sanzione penale, è il valore politico del verdetto a pesare.
Il Supremo Tribunal Federal ha ribadito un principio fondamentale. Nessuno è al di sopra della legge, nemmeno chi ha occupato la più alta carica dello Stato. In un Paese che ha conosciuto dittature militari e colpi di Stato, il messaggio è chiaro: la democrazia non è negoziabile.

I sostenitori di Bolsonaro hanno denunciato la decisione come persecuzione politica, confermando la spaccatura che attraversa il Brasile. Il campo progressista e democratico, invece, vede nella sentenza una vittoria dello Stato di diritto. Anche a livello internazionale la condanna è osservata con attenzione. Il Brasile si presenta come un laboratorio di resistenza democratica contro i populismi autoritari che mettono in discussione le regole del gioco quando perdono le elezioni.

Bolsonaro resta una figura centrale per la destra, ma la condanna ne compromette drasticamente la carriera politica. Già dichiarato ineleggibile fino al 2030, con questa sentenza rischia di trascorrere gran parte della vita dietro le sbarre. La sua eredità politica è oggi contesa tra figli, ex ministri e nuovi leader che cercano di capitalizzare il malcontento sociale senza replicare l’avventurismo golpista.

La condanna di Bolsonaro chiude un’epoca. Dimostra che, anche nei momenti di maggiore fragilità, le istituzioni democratiche possono resistere. Ma avverte anche che il populismo autoritario è una sfida strutturale, pronta a riemergere.

Il Brasile, con le sue contraddizioni e il suo peso continentale, consegna al mondo una lezione che va oltre i confini nazionali. Senza giustizia, la democrazia resta incompiuta.


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