BRICS Boom. Il blocco si allarga, il mondo osserva


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(Federica Cannas) – C’è un cambiamento in atto nell’equilibrio globale e ha un nome ben preciso: BRICS. Fino a qualche anno fa, questa sigla indicava un gruppo ristretto di cinque economie emergenti, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, accomunate dall’ambizione di sfidare il dominio occidentale e costruire un’alternativa al sistema guidato da Stati Uniti ed Europa. Oggi, però, il blocco non è più lo stesso. Nel 2024 ha accolto Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, e ora anche la Nigeria è entrata come paese partner, insieme a Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Thailandia, Uganda e Uzbekistan.

I BRICS si stanno espandendo e assumono un ruolo sempre più centrale nella geopolitica globale. Questa crescita rende il blocco una realtà sempre più influente, ma al tempo stesso ne evidenzia le fragilità.

Il peso dei BRICS nel mondo è indiscutibile. Il blocco rappresenta oltre il 40% della popolazione mondiale e, con l’ultima espansione, è arrivato a generare circa il 32% del PIL globale. Se fino a qualche anno fa si poteva considerare una coalizione “di emergenti”, oggi il BRICS è un attore che può incidere concretamente sull’economia mondiale.

La strategia principale del blocco è ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense. Negli ultimi anni, gli scambi tra i membri del gruppo si sono sempre più orientati verso le valute nazionali. La Russia, a causa delle sanzioni occidentali, ha intensificato gli accordi commerciali con Cina e India, mentre il Brasile ha cominciato a usare la sua valuta negli scambi con Pechino.

Un progetto ancora più ambizioso è la creazione di una moneta comune, un’idea che, se concretizzata, avrebbe un impatto enorme sugli equilibri finanziari globali. Il dollaro perderebbe il suo predominio come valuta di riferimento internazionale, alterando profondamente le dinamiche economiche mondiali. Per il momento, però, il progetto è ancora lontano dalla realizzazione, a causa delle forti differenze economiche tra i membri del blocco e della necessità di un livello di integrazione che i BRICS non hanno ancora raggiunto.

L’ingresso nel blocco di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran ed Etiopia ha trasformato i BRICS in una superpotenza energetica. Con l’integrazione di questi nuovi membri, il gruppo controlla una quota significativa della produzione mondiale di petrolio e gas, aumentando la sua influenza nei mercati globali.

Questa nuova configurazione rafforza la possibilità di usare l’energia come leva geopolitica, imponendo nuove regole al mercato e consolidando il ruolo dei BRICS come attori chiave nelle dinamiche internazionali. La presenza simultanea di Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, tuttavia, mette in evidenza un potenziale punto critico. Questi Paesi hanno storicamente mantenuto rapporti difficili tra loro e, nonostante l’ingresso nel blocco, rimangono differenze che potrebbero emergere nei momenti decisivi.

Il blocco nasce con l’intenzione di rappresentare un fronte compatto, capace di difendere gli interessi del Sud globale contro il dominio economico occidentale. Nella realtà, però, i suoi membri hanno visioni e obiettivi molto diversi. India e Cina sono due superpotenze economiche e motori del gruppo, ma sono anche rivali geopolitici con storici contenziosi territoriali. La competizione tra le due nazioni rende difficile immaginare una vera armonizzazione delle politiche economiche e strategiche all’interno del blocco.

La Russia, con la guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali, si è trovata a dipendere sempre di più dagli altri membri del BRICS, in particolare dalla Cina. Questa dinamica ha rafforzato il ruolo di Pechino nel blocco, rendendolo meno equilibrato di quanto apparisse in origine. Il Brasile, pur facendo parte dei BRICS, mantiene ancora forti legami con Stati Uniti ed Europa, cercando di bilanciare la sua posizione tra il blocco emergente e le tradizionali potenze occidentali.

A differenza dell’Unione Europea, che dispone di istituzioni comuni e di un sistema di governance ben definito, i BRICS non hanno una struttura decisionale solida. Ogni paese segue la propria agenda politica ed economica, e la mancanza di meccanismi vincolanti rende difficile la definizione di una linea comune.

L’ammissione della Nigeria come paese partner rafforza ulteriormente la presenza africana nel blocco. La Nigeria è la più grande economia del continente e uno dei maggiori produttori di petrolio dell’Africa. Per la Nigeria, entrare nel BRICS rappresenta un’opportunità per attrarre investimenti, diversificare l’economia e consolidare le proprie relazioni con i Paesi emergenti. Tuttavia, il vero impatto di questa adesione dipenderà dalle dinamiche interne al blocco e dalla capacità della Nigeria di sfruttare al meglio questa nuova collaborazione.

L’ingresso della Nigeria, insieme a quello di Etiopia ed Egitto, conferma il crescente interesse dei BRICS per l’Africa, un continente sempre più strategico nel panorama economico e geopolitico globale.
I BRICS rappresentano una realtà potente ma ricca di contraddizioni. Il loro peso economico e politico è innegabile e il blocco ha il potenziale per ridisegnare gli equilibri mondiali.

Per diventare un’alternativa credibile alle istituzioni occidentali, i BRICS dovranno essere capaci di dare un’identità politica più chiara al blocco, andando oltre la semplice opposizione agli Stati Uniti. Nel frattempo, da gennaio, il Brasile ha assunto la presidenza di turno del blocco BRICS e si prepara a ospitare l’importante vertice annuale a Rio de Janeiro, nel luglio 2025. Un appuntamento che si preannuncia cruciale per il futuro dell’alleanza e per il ruolo del Sud globale nella geopolitica mondiale.

Con un gruppo ormai allargato, la presidenza brasiliana avrà il compito di tenere insieme le diverse anime del blocco e di definire una strategia chiara per rafforzarne il peso economico e politico. Il vertice di Rio de Janeiro sarà il banco di prova per capire se il BRICS riuscirà davvero a consolidarsi come alternativa all’ordine mondiale attuale o se resterà un’alleanza ancora troppo frammentata per incidere davvero. Lula e il Brasile hanno un anno per lasciare il segno. Il mondo osserva.


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