
(Federica Cannas) – Il presidente colombiano Gustavo Petro ha scelto di forzare la mano. In un gesto politico senza precedenti nella recente storia del Paese, ha firmato un decreto per indire un referendum popolare, fissato per il 7 agosto su dodici quesiti cruciali in materia di lavoro. La firma arriva dopo che il Senato aveva rigettato il progetto con una maggioranza risicata — 49 voti contrari contro 47 favorevoli — ma Petro ha deciso di non arretrare, fermamente convinto che “la volontà popolare ha più peso di quella parlamentare”. Una sfida aperta al potere legislativo, ma anche una dichiarazione di intenti. La Colombia può cambiare solo se è il popolo a deciderlo. Il decreto, infatti, definisce “inapplicabile” il rigetto del Senato e stabilisce che, in base alle leggi vigenti, nulla vieta al presidente di sottoporre i quesiti direttamente al giudizio popolare. Resta, ovviamente, l’ostacolo della Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sulla legittimità formale e sostanziale della consultazione.
Il referendum promosso da Petro non è solo un gesto politico, è il cuore del suo programma sociale. I dodici quesiti proposti toccano questioni che riguardano la vita quotidiana di milioni di colombiane e colombiani. Dalla riduzione della giornata lavorativa alla tutela dei lavoratori nei giorni festivi, fino al riconoscimento dei permessi per motivi medici e mestruali.
Nel dettaglio, i quesiti più significativi prevedono: una giornata lavorativa che non superi le 8 ore; retribuzione doppia per chi lavora di domenica o nei festivi; permessi retribuiti per le visite mediche e per le donne durante il ciclo mestruale, in caso di sintomi invalidanti; l’obbligo, per le imprese con più di 100 dipendenti, di assumere almeno 2 persone con disabilità.
Misure che, per i sostenitori del referendum, rappresentano un atto di giustizia sociale, di civiltà e di riconoscimento dei diritti dei più fragili. Per i detrattori, invece, si tratta di un progetto ideologico, economicamente insostenibile e di dubbia compatibilità con l’attuale struttura produttiva del Paese. La decisione del presidente ha provocato una reazione furiosa da parte dell’opposizione, che ha parlato apertamente di golpe istituzionale, di violazione della separazione dei poteri, di uso improprio dello strumento referendario. Il Senato, secondo Petro, avrebbe rigettato la proposta in modo irregolare e contrario allo spirito democratico. Ma è chiaro che, al di là dei tecnicismi giuridici, si gioca una partita più ampia. Quella sul modello di Paese che la Colombia vuole essere.
Da una parte, Petro punta a trasformare la Colombia in una nazione che mette al centro il benessere collettivo, la dignità del lavoro e la giustizia redistributiva. Dall’altra, un Parlamento che, ancora in gran parte dominato da forze conservatrici, vede queste riforme come una minaccia all’equilibrio esistente, sia economico sia politico.
Il referendum non è solo un tema interno. Petro lo sa. La sua battaglia per la riforma del lavoro si inserisce in un contesto più ampio, in cui la Colombia cerca una nuova posizione nel mondo. Lo ha dimostrato anche con il recente avvicinamento alla Cina attraverso il progetto della Nuova Via della Seta, rompendo l’unilateralismo diplomatico e l’influenza storica degli Stati Uniti nella regione.
Petro immagina un Paese capace di dialogare con più attori, di costruire un modello di sviluppo proprio, non più subordinato ai dettami del neoliberismo. In questo senso, il referendum non è solo uno strumento giuridico o democratico, ma una leva per affermare una visione nuova della Colombia. Più inclusiva, più equa, più indipendente.
Tuttavia, il cammino non sarà semplice. Prima di arrivare alle urne, il referendum dovrà superare il vaglio della Corte Costituzionale, che potrebbe bloccarlo per vizi procedurali o sostanziali. Se la Corte darà il via libera, la sfida si sposterà sul piano politico e culturale. Sarà una battaglia di narrazioni, di mobilitazioni, di coscienze. Non solo per rispondere a dodici quesiti, ma per scegliere quale visione di società sostenere.
In un’epoca in cui il lavoro è sempre più precario, individualizzato, deregolamentato, la proposta di Petro riporta al centro un’idea forte e collettiva di giustizia. Un’idea che può spaventare chi ha costruito le proprie fortune su un mercato del lavoro flessibile e senza tutele, ma che può anche accendere la speranza in chi, ogni giorno, vive sulla propria pelle le disuguaglianze.
Il referendum sul lavoro rappresenta, forse, il momento più alto e più rischioso del progetto politico di Gustavo Petro. Non sarà una semplice consultazione, ma un passaggio epocale. Perché, in gioco, c’è molto di più di alcune riforme legislative. C’è la possibilità di cambiare il modo in cui il potere parla con il popolo, e in cui il popolo può rispondere. In una Colombia segnata da disuguaglianze profonde, il 7 agosto potrebbe diventare una data storica. Non solo per la riforma del lavoro. Ma per una nuova idea di democrazia.