COP30. Il mondo arriva in Amazzonia


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(Federica Cannas) – Dal 10 al 21 novembre 2025 il Brasile ospiterà la trentesima Conferenza delle Parti della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), nota come COP30. Per la prima volta un vertice sul clima entrerà nel cuore dell’Amazzonia, a Belém. Questa scelta non è casuale. È il segnale di una svolta che colloca il Sud globale in una posizione centrale nel dibattito sul clima. E già da qui si capisce che questa COP non sarà una replica delle precedenti.

La partecipazione sarà amplissima. Sono attesi tutti gli Stati firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con delegazioni governative e tecniche provenienti da circa centonovantotto paesi. L’accesso verrà esteso anche agli osservatori permanenti, con centoventicinque nuove organizzazioni che avranno la possibilità di seguire e contribuire ai lavori della Blue Zone.

Accanto ai governi, entreranno quindi attori che non sono semplici comparse. Il movimento giovanile internazionale, il mondo delle ONG, le comunità indigene, le donne, le comunità afrodiscendenti e tradizionali dell’Amazzonia avranno voce in capitolo. È un ampliamento dell’arena negoziale che racconta un cambio di prospettiva.

Nell’Ottava Lettera della Presidenza brasiliana, documento ufficiale che sintetizza lo stato dell’organizzazione e l’indirizzo politico del Brasile sul negoziato climatico, viene sottolineato che Belém sarà la COP che vuole aprire la porta a una nuova governance. Il testo ribadisce che le soluzioni non saranno imposte dall’alto e che la protezione dell’Amazzonia deve essere costruita insieme a chi la abita.

Il Brasile riconosce il ruolo dei popoli indigeni e delle comunità tradizionali come custodi della foresta e considera la loro partecipazione un elemento strutturale e non simbolico. La Presidenza indica che la transizione ecologica deve produrre benessere, ricerca, educazione, scienza e nuovi modelli di sviluppo per il territorio amazzonico. Il Brasile afferma che non accetterà un modello di protezione che imponga solo restrizioni senza valorizzare le persone che vivono nella foresta.

Il Brasile non è solo il paese che ospita. È il paese che porta nel negoziato il territorio più simbolico della crisi climatica globale. Il governo di Lula ha già indicato che la foresta non può essere trattata come risorsa da proteggere per conto terzi, né come costo da sopportare per conto dell’umanità intera. L’Amazzonia è un bene vivo e la sua protezione deve generare dignità, lavoro, ricerca, presenza umana sostenibile. La COP30 sarà quindi anche un banco di prova per la rinascita internazionale del Brasile dopo gli anni della regressione ambientale. Lula vuole costruire una credibilità nuova, capace di unire democrazia, giustizia sociale e clima.

Il contesto latinoamericano è favorevole a questo cambio di asse. Le leadership progressiste del continente, Cile, Colombia, Messico, Uruguay e in alcuni passaggi anche Argentina, non intendono presentarsi a Belém come delegazioni marginali. La loro lettura non separa la transizione ecologica dalle diseguaglianze. Per loro la giustizia climatica non è una formula teorica, è una esigenza politica immediata. Proteggere la foresta significa proteggere le persone. I progressisti latinoamericani vogliono portare al centro del tavolo negoziale temi che altrimenti resterebbero accessori: trasferimento tecnologico, rispetto dei popoli nativi, cambiamento del modello produttivo e non semplice compensazione a posteriori dei danni.

L’Europa e l’Italia saranno presenti. L’Unione Europea parteciperà con la propria delegazione, che negozierà come blocco, ma i singoli Stati membri manterranno la possibilità di influenzare le posizioni di lavoro. L’Italia, parte del Mediterraneo, porterà un’altra dimensione geografica della crisi climatica, quella che unisce la desertificazione emergente, l’instabilità dei sistemi agricoli e la fragilità costiera. È un’altra frontiera del cambiamento del pianeta. Europa e America Latina entreranno a confronto con modelli mentali differenti. L’Europa guarda alla transizione come standard normativo e strategia industriale. Il Sud America vede nella terra una presenza viva, non un insieme di variabili economiche. La COP30 sarà anche un incontro tra queste due visioni.

Belém potrebbe diventare la COP della svolta. Il punto non è solo definire nuovi impegni, che poi cadono nel vuoto. Il vero nodo è capire se nella foresta amazzonica nascerà un nuovo modo di negoziare. Se la COP30 riuscirà a trasformare le istanze sociali in impegni concreti, se la partecipazione dei nuovi attori diventerà parte attiva delle decisioni, se le parole pronunciate a Belém saranno capaci di vivere al di là dei comunicati conclusivi. Solo allora l’Amazzonia smetterà di essere uno sfondo poetico di conferenze internazionali e diventerà la matrice politica del nostro futuro climatico.


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