Così l’emiro di Raqqa contrabbanda il petrolio dell’IS verso la Turchia


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La rete di contrabbando del petrolio dello Stato Islamico in Siria funziona come un orologio. Il primo step è l’estrazione del petrolio dai giacimenti del nord della Siria, dove un tempo operavano giganti come la francese Total e l’anglo-olandese Shell. Nel 2011, con lo scoppio della rivolta contro il presidente Bashar al-Assad, queste società hanno abbandonato i pozzi della provincia di Dayr az-Zor. Ma i tecnici e gran parte del personale addetti all’estrazione sono siriani e hanno continuato il loro lavoro.

Il greggio viene poi trasportato in impianti di fortuna nella provincia di Raqqa, dove viene raffinato. Il più grande si trova vicino alla città di Akrish. Il risultato è un combustibile di bassa qualità che viene venduto al mercato nero a prezzi contenuti, circa il 30% in meno rispetto a quelli ufficiali.

Una volta concluso il processo di raffinazione si entra nella fase tre, la più delicata, ovvero il trasporto del combustibile oltre il confine turco. I militanti dell’Is – scrive il Wall Street Journal – utilizzano ogni stratagemma per far attraversare la frontiera al loro petrolio.

Una delle soluzioni è legare le taniche sul dorso di cavalli o muli, che possono percorrere strade bianche, evitando così qualsiasi tipo di controllo delle guardie di frontiera turche.

Ma il petrolio viene anche fatto viaggiare su delle zattere che seguono la corrente dell’Oronte, che dalla Siria attraversa la provincia turca di Hatay per poi sfociare nel Mediterraneo. Non solo, il petrolio dell’Is viene anche contrabbandato su piccole taniche nascoste all’interno dei camion che attraversano la frontiera tra i due paesi o tra i mezzi agricoli, come trattori.

A dirigere le operazioni è al-Hamoud Ali, noto anche con il nome di Abu Luqman, l’emiro del cosiddetto Stato Islamico a Raqqa. Abu Luqman decide quanto i contrabbandieri devono pagare per il greggio e quando possono caricarlo sulle autobotti che lo porteranno poi fino ai villaggi siriani al confine.

Il contrabbando di petrolio è la principale forma di finanziamento dell’Is. Secondo Luay al-Khateeb, esperto del Brookings Doha Center, i jihadisti producono 100mila barili di greggio al giorno – più o meno come il Sudan – e incassano due milioni di dollari.

Per diverso tempo la Turchia – scrive il Wsj – ha chiuso più di un occhio su questo traffico illecito. All’inizio, infatti, i giacimenti erano nelle mani dei ribelli dell’Esercito siriano libero – gruppo armato anti-Assad appoggiato da Ankara – ma anche dopo che i pozzi erano finiti nelle mani dell’Is non c’era mai stata un’azione decisa per sradicare il fenomeno.

Ma la pressione della comunità internazionale, che punta a prosciugare le fonti principali di introito dei jihadisti, ha cambiato le carte in tavola, spingendo anche le autorità turche a fare la loro parte. Secondo l’esercito di Ankara, nelle ultime due settimane i militari hanno sequestrato 13.400 litri di combustibile al confine con la Siria.

 

(fonte AdnKronos)

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