Le difficoltà economiche causate dalla pandemia fanno riemergere antiche lotte di classe anziché portare ad una unione di intenti
I provvedimenti di sostegno e rilancio dell’economia adottati a seguito della pandemia Covid-19 dal Governo Conte fanno i conti con retaggi ideologici di vecchio stampo dei componenti dei partiti politici della maggioranza che lo sostiene. Purtroppo, anche i “tecnici” governativi, non sembrano essere immuni da queste contaminazioni del passato.
Un esempio lampante riguarda l’assurdo trattamento delle professioni liberali, alle quali è stato negato l’accesso a molte delle provvidenze messe in campo o, nella migliore delle ipotesi, demandando l’intervento alle casse professionali di appartenenza che hanno imposto numerosi paletti di tipo reddituale potendo contare su fondi limitati.
Il commissario Arcuri con INVITALIA ha escluso in maniera incomprensibile i professionisti dalla possibilità di partecipare al bando per ottenere una copertura parziale delle spese affrontate per dotare studi e dipendenti di dispositivi di protezione da COVID-19.
Grande scalpore ha suscitato l’esclusione dei professionisti dalla possibilità di richiedere il contributo a fondo perduto di cui al Decreto Rilancio. Il ministro delle finanze Gualtieri, a giustificazione della scelta effettuata, ha testualmente dichiarato che “i professionisti sono persone e beneficiano delle indennità di 600 euro, quindi non hanno diritto ai contributi a fondo perduto delle imprese“.
Oltre ad essere la norma in contrasto con tutte le Raccomandazioni europee che impongono di assimilare i professionisti alle imprese, le parole del ministro denotano una visione ottocentesca dell’economia, dove i professionisti erano rappresentati dai pochi avvocati, medici e notai che appartenevano all’élite cittadina.
Probabilmente, abituato a frequentare unicamente grandi studi legali e di consulenza, il ministro si è dimenticato che i liberi professionisti in Italia sono più di due milioni, divisi tra coloro che sono iscritti ad un collegio o ordine e lavoratori senza cassa iscritti alla gestione separata INPS.
Purtroppo per loro solo una minima parte guadagna somme da capogiro, mentre la maggioranza si attesta su redditi medi tra i 30 e i 40 mila euro, con medie più basse per i professionisti più giovani.
Qual è allora la differenza tra una bottega artigiana e uno studio professionale entrambi, ad esempio, con pochi dipendenti? Le problematiche quotidiane sono le medesime: produrre beni o servizi, tutelare i lavoratori dall’epidemia, ricevere clienti, trattare con i fornitori, lottare con le banche per i problemi di liquidità finanziaria, gestire imprevisti e alla sera attardarsi sul tornio o sulla scrivania per ultimare un lavoro che si è rivelato più complicato del previsto.
Perché il primo dovrebbe avere diritto ad un contributo e il secondo no? Un lavoratore è un lavoratore!
Ah già, che dimenticanza! Come ha affermato l’onnipresente Roberto Saviano, i professionisti (nella fattispecie i commercialisti) possono essere contigui alle mafie e procurano loro redditizi affari.
Mi sembra un buon motivo. Si, un buon motivo per renderci conto che se si cavalcano le vecchie logiche della lotta di classe per ottenere qualche consenso in più, se si ha bisogno di un nemico per compattare una maggioranza parlamentare, si rischia di ritrovarci a breve un Paese diviso, dimenticandoci che l’emergenza (economica) è solo all’inizio. (Roberto Nicoletti)