Crack economico del “governo” dell’opposizione siriana in esilio


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Il “governo” dell’opposizione siriana in esilio ha dichiarato fallimento e ha informato i suoi dipendenti che si trovano in Turchia “che il loro lavoro, da ora in poi, deve essere volontario”. Secondo varie stime, il “governo siriano di opposizione” ha avuto fino a 400 dipendenti che sono stati pagati tra i 1000 e 1.600 dollari al mese fino al “primo ministro” Ahmad Tohmé, che riceveva 8.000 dollari mensili, pari allo stipendio del presidente della Turchia, che ospita il quartier generale di questo sedicente “governo”.

Ahmad Tohmé, vicino ai Fratelli musulmani e sostenuto dal Qatar, è stato rieletto nell’ottobre del 2014 dopo un braccio di ferro fra lo stesso Qatar e l’Arabia Saudita, principali sostenitori della rivolta contro Assad. Il “premier” era stato rimosso nel luglio dello stesso anno dall’assemblea generale dell’opposizione, dopo fortissime pressioni dei sauditi.

Il governo di opposizione in esilio è stato accusato più volte di corruzione e appropriazione indebita di fondi su questioni quali la costruzione della sede del “governo” di Istanbul. In più c’è da registrare un sostanzioso calo di finanziamenti verso un’organismo scarsamente rappresentativo delle forze di opposizione in Siria. Come rivela la televisione libanese al Manar, del movimento sciita Hezbollah, il governo in esilio non è stato in grado di raccogliere le donazioni necessarie neppur in Qatar, suo sponsor principale. Ciò si verifica anche in un contesto di scontri in corso tra il “governo” Tohmé e alcuni membri della cosiddetta coalizione nazionale siriana, tra cui l’ex leader Ahmed Yarba.

“Alcuni esperti- osserva al Manar –  ritengono che i paesi che hanno sostenuto questo “governo” sembrano aver finalmente capito l’assurdità di mantenere questa finzione, che non è mai stata una vera alternativa al governo siriano, e hanno deciso di non sprecare più soldi per loro, soprattutto, da quando alcuni paesi occidentali hanno manifestato la loro inclinazione al dialogo con Damasco”.

Il tracollo economico – e di credibilità –  del Governo in esilio lascia dunque spazio libero alla Coalizione nazionale siriana di opposizione e della rivoluzione, fondata a Doha l’11 novembre 2012, come unico soggetto delle forze di opposizione al governo di Bashar al Assad. Anch’essa, senza consenso e schiacciata dall’onda jihadista, ha fatto una  parziale retromarcia nelle sue posizioni politiche, nell’estremo tentativo, dicono i maligni, di sopravvivere soprattutto a se stessa, vista la scarsa rappresentatività che ha in patria.

Recentemente il  presidente Khaled Khoja ha illustrato la nuova strategia che prevede un passo indietro di Assad solo alla fine del processo di pace, dunque non ponendo più la sua caduta immediata come condizione per sedersi al tavolo di trattative con le autorità governative.  La Coalizione chiede in particolare la nascita di un governo di transizione, affermando che «il principale obiettivo del negoziato con Assad è un sistema civile e democratico che garantisca uguali diritti e doveri».

Un negoziato, quello con Assad, che il debole governo dell’opposizione siriana in esilio in Turchia si era sempre rifiutato di accettare. “Abbiamo fatto tesoro delle cause che hanno portato fallimento dei negoziati di Ginevra. Noi vogliamo costruire una amministrazione di transizione che abbia pieni poteri di governo. Voglio ribadirlo con la massima chiarezza: la Coalizione – ha concluso Khaled Khoja –  dialogherà con il regime di Assad, sulla base della Dichiarazione di Ginevra, che prevede l’istituzione di un governo di transizione”.

 

(Con fonte Al Manar – Traduzioni di Francesco Guadagni)

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