(Simona Planu) – Sono mondi dimenticati quelli dei bambini in conflitto con la legge, in cui si incontrano storie di vite interrotte e possibilità negate. Lontani dall’essere luoghi dove i giovani riscattano la propria esistenza, i centri di reclusione per minori, sono sistemi concepiti per la punizione degli adulti. La restrizione di libertà è un metodo innaturale che blocca la vita di chi è stato lontano dalla comunità e dalle sue regole. Le testimonianze di chi ha vissuto questa condizione parlano delle difficoltà psicologiche, e non solo, per la ripresa di una vita normale. Dal caos delle città, al peso delle emozioni e delle responsabilità, sono tanti gli elementi che ostacolano il processo di autodeterminazione verso un nuovo futuro.
La guerra però è un altra storia e agli ostacoli della quotidianità, alle difficoltà economiche e sociali si aggiungono le condizioni di protezione, per lo più assenti, un tessuto di comunità sfibrato e fragile e strutture istituzionali da ricostruire.
Le condizioni presenti in contesti di conflitto o post-conflitto giocano un ruolo cruciale nell’indirizzare l’infanzia e la giovinezza. Dalle ostilità e dallo scontro, infatti, filtrano messaggi che si trasformano in modelli da imitare, dove violenza e frammentazione sociale si sovrappongono alla guida dei comportamenti relazionali. Inoltre, le difficoltà economiche e l’emarginazione sociale sono solo alcune delle determinanti che contribuiscono ad aumentare la vulnerabilità vissuta dai minori, in contesti emergenziali, rendendoli facile preda dello sfruttamento di bande criminali e di gruppi armati.
La vulnerabilità e l’assenza di protezione, in un generale contesto di violenza, aprono le porte dei centri di detenzione e costringono molti bambini a crescere confinati in un mondo a parte, privato degli affetti, del confronto e della scoperta.
Nonostante le convenzioni internazionali e le procedure di protezione impongano la detenzione per il minore come ultima risposta, di fatto, essa rimane la soluzione più adottata soprattutto in quei paesi politicamente destabilizzati.
Secondo le organizzazioni per i diritti dei bambini, mentre i bassi standard di qualità del personale e delle strutture sono comuni ad altri luoghi, il rischio di violenza è maggiore. L’uso della violenza assume diverse forme, alcune volte è la stessa sentenza a prevederla.
In un microcosmo governato dalle regole delle autorità carcerarie e di sicurezza, la difficile convivenza con la popolazione adulta e con gli altri minori reclusi si combina alle dinamiche discriminatorie che caratterizzano il conflitto vissuto fuori dalle mura carcerarie. Le distinzioni su base etnica, i conflitti familiari, le frammentazioni politiche e rivalità di gruppi armati e bande criminali convivono forzatamente in uno spazio dove la stessa autorità non è al di fuori dalle dinamiche di scontro.