Un’opinione pubblica stanca che ripudia la guerra e vuole che cessi l’occupazione dei territori palestinesi. E’ quella parte di Israele che non condivide la politica del suo governo e per la prima volta ipotizza di abbandonare “la casa madre” per andare a vivere altrove. Semplici cittadini, uomini e donne di diversa estrazione sociale e culturale, intellettuali e persino militari che dicono no al premier Benjamin Netanyahu e agli uomini della destra ultranazionalista e razzista che siedono nel suo gabinetto.
Non stupisce dunque il sondaggio divulgato da Canale 2 che rivela come il 30% degli israeliani non escluda di poter lasciare il “Paese del sionismo” per emigrare altrove. Il 56% respinge invece categoricamente un’ipotesi del genere, anche se fosse realizzabile. La voglia di andare altrove è legata sia alla guerra di Gaza che al disagio sociale. Secondo il sondaggio, in Israele non esiste comunque più uno ‘marchio negativo’ – diffuso in passato – verso gli ebrei che lasciano il Paese per cercare fortuna altrove.
Intanto è cresciuto il numero dei giovani che si sono rifiutati di prestare servizio militare nell’esercito israeliano. Uno dei casi più eclatanti è quello di Udi Segal, 19 anni, che ha detto no all’arruolamento mentre il suo paese commetteva a Gaza un massacro dove sono morte oltre duemila persone: “Israele può continuare questa occupazione, ‘but not in my name’, non nel mio nome”, ha raccontato un’intervista a IlFattoQuotidiano.it.
Segal fa parte dei cosiddetti “refusenik“, i giovani israeliani che rifiutano di indossare la divisa, in coerenza con i loro ideali di pace e giustizia. “Quando mi sono avvicinato all’età della leva obbligatoria – racconta Segal – ho iniziato a leggere, studiare e documentarmi sul conflitto tra Israele e Palestina. È più di un anno che mi informo sui giornali e studio la storia e ho deciso che non posso prendere parte a questa occupazione”.
In Terra Santa molte altre persone hanno deciso di fare obiezione di coscienza per protestare contro l’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza e nella West Bank, rischiando il carcere come Udi Segal. “Non so ancora di preciso quanto rimarrò in carcere – continua Segal -, anche se la pena prevista in questi casi è di circa 6 mesi. Non basterà questo a farmi cambiare idea in futuro”.
Sono moltissimi, oltre 100, i soldati dell’Israel Defense Force che si sono rifiutati di partecipare all’operazione militare sulla Striscia e decine di migliaia i rappresentanti delle comunità ebraiche, guidate dal movimento di ebrei ortodossi antisionisti Neturei Karta, che hanno manifestato nelle piazze di tutto il mondo contro l’attacco di Tel Aviv a Gaza, accusato di sionismo e razzismo contro il popolo palestinese.