(Antonino Salerno) – Ero a Damasco, una bellissima città accogliente, la Pasqua del 2011, quando è cominciato tutto in un villaggio ai confini con la Giordania. Sentii subito puzza di bruciato quando i quotidiani stranieri, italiani inclusi, cominciarono a pubblicare notizie di grandi manifestazioni anti Assad nella capitale, di feroce e sanguinosa repressione davanti la moschea degli Ommayadi, nel centro storico.
Peccato che il figlio della mia compagna vivesse lì da più di un anno, in una casa che si affacciava proprio sulla moschea. Era lì per perfezionare l’arabo classico all’Università insieme a decine di studenti stranieri. Nessuno di loro, americani, francesi, danesi, aveva visto alcuna manifestazione né episodi di repressione sanguinaria davanti la moschea.
Chiedemmo anche all’ambasciata italiana se era sicuro rimanere lì a studiare e ci risposero che era tutto tranquillo e non stava succedendo alcunché a Damasco.
Le proteste popolari ci sono state inizialmente ma sono subito state utilizzate come scintilla per un piano già pronto, volto a far cadere quel governo.