
(Federica Cannas) – C’è una data che sembra aver azzerato la memoria collettiva: il 7 ottobre 2023. Da quel giorno, l’opinione pubblica internazionale, i media mainstream e buona parte della diplomazia mondiale hanno scelto di leggere la storia solo dal punto in cui Hamas ha attaccato Israele. Ogni cosa detta prima è diventata rumore di fondo. Ogni crimine commesso prima è stato rimosso. Ogni vita palestinese spezzata prima è stata considerata sacrificabile, secondaria, irrilevante.
Ma la verità non si cancella con la propaganda. E la storia, quella vera, va ricordata con precisione. Gaza non è esplosa il 7 ottobre. Gaza è stata ridotta in macerie molto prima.
Senza andare troppo lontano nel tempo, dal 2008 a oggi, Israele ha lanciato operazioni militari su Gaza con una regolarità spaventosa. Ogni volta con nomi che sembrano studiati da un’agenzia pubblicitaria.
Piombo Fuso (2008-2009), Colonna di Nuvola (2012), Margine Protettivo (2014), Guardiani delle Mura (2021), Alba (2022). Dietro quei nomi, ci sono migliaia di morti, in prevalenza civili palestinesi, tra cui tantissimi bambini.
Nel solo 2014, durante l’operazione “Margine Protettivo”, oltre 2.200 palestinesi vennero uccisi, di cui più di 500 erano bambini. Ospedali, scuole, ambulanze, edifici residenziali: colpiti senza pietà. Si trattò di un massacro sotto gli occhi del mondo. Allora qualcuno si indignò, sì. Ma solo per poco. E Israele non subì alcuna reale conseguenza.
E poi c’è l’uso del fosforo bianco, l’arma chimica che provoca ustioni terribili e permanenti, vietata contro i civili dal diritto internazionale umanitario. Organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International hanno più volte denunciato il suo utilizzo da parte di Israele a Gaza, già dal 2009. Quando lo stesso tipo di arma è stato anche solo sospettato di essere usato in Siria, in Iraq o in altre aree di conflitto, la reazione internazionale è stata durissima. Ma a Israele tutto è sempre concesso. Anche l’inaudito. Anche l’indifendibile.
La Striscia di Gaza è il luogo più densamente popolato al mondo. Due milioni di persone stipate in pochi chilometri quadrati, sottoposte a un assedio permanente dal 2007, senza libertà di movimento, con l’accesso a cibo, acqua, medicine e carburante contingentato da Israele. È una prigione a cielo aperto, come la chiamano le Nazioni Unite.
E oggi? Oggi si consuma sotto gli occhi del mondo un’azione che molti giuristi, politologi, storici e intellettuali definiscono un genocidio in corso. Migliaia e migliaia di civili massacrati in pochi mesi, interi quartieri rasi al suolo, ospedali distrutti, medici assassinati, fosse comuni. I bambini di Gaza vengono amputati senza anestesia, i neonati muoiono, le madri partoriscono tra le bombe. E il mondo? Silenzioso. E quando parla, parla solo di diritto alla difesa di Israele.
Il 29 maggio 2025, durante una riunione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’ambasciatore palestinese Riyad Mansour è scoppiato in lacrime. Con la voce rotta dal pianto, ha denunciato la sofferenza di migliaia di famiglie: “Migliaia di bambini stanno morendo di fame. Le immagini delle madri che abbracciano i loro corpi immobili, accarezzano i loro capelli, parlano con loro, chiedono loro perdono… È insopportabile. Come si può fare una cosa del genere?”
E ha aggiunto: “Ho dei nipoti. So cosa significano per le loro famiglie. E vedere questa situazione sui palestinesi senza che noi abbiamo il coraggio di fare qualcosa, va oltre la capacità di qualsiasi essere umano normale di tollerarla.”
Queste parole, pronunciate davanti al mondo intero, sono forse le uniche lacrime autentiche che hanno avuto spazio tra i discorsi diplomatici, le risoluzioni ignorate, il disprezzo per la vita umana a senso unico.
Ma nessuno ha mai avuto il diritto di annientare un intero popolo. Nessuno può vantare un’eccezione morale alla giustizia internazionale. Nessuno può distruggere una nazione sotto lo sguardo ipocrita della comunità internazionale e continuare a ricevere armi, appoggio e legittimità.
Abbiamo saputo dire mai più per tanti genocidi del passato. Ma stavolta, mentre il genocidio palestinese accade, molti tacciono, molti giustificano, molti addirittura applaudono. È questa la parte più inaccettabile: il genocidio autorizzato. Quello che si può fare perché “è una risposta”, perché “Hamas”. Come se i bambini sotto le macerie fossero militanti di Hamas. Come se la punizione collettiva fosse un’azione legittima. Come se il diritto alla difesa comprendesse il diritto all’annientamento.
La storia giudicherà. Ma intanto, noi dobbiamo rifiutarci di accettare.
Perché l’orrore non è iniziato il 7 ottobre 2023.Dobbiamo alzare la voce contro l’ipocrisia che ha trasformato la tragedia di un popolo in un esercizio di propaganda.
E dobbiamo restare umani, proprio dove l’umanità viene calpestata nel modo più feroce e indegno.