(Alessandro Aramu) – La Turchia, attraverso il suo ambasciatore a Roma, ha scritto ai Comuni italiani per chiedere che non venga più usata l’espressione “genocidio armeno” per indicare gli accadimenti che portarono allo sterminio di circa un milione e mezzo di armeni a partire dal 1915. L’ambasciatore definisce “illazioni” gli eventi del 1915 in quanto non si basano su una sentenza dei tribunali internazionali. Da qui l’invito ai consigli comunali italiani “ad astenersi a prendere parte a iniziative unilaterali”.
La lettera fa riferimento a una sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo secondo la quale, a detta dell’ambasciata, il genocidio armeno non sarebbe nient’altro che un falso storico.
In realtà, come giustamente ricorda la comunità armena in Italia, la sentenza del 15 ottobre del 2015 (n° 27510/08) a cui fa cenno il diplomatico di Ankara riguarda, come riportato nella dichiarazione fatta alla stampa dallo stesso tribunale, “la violazione dell’art 10 (Libertà di espressione) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”. “Pertanto – chiarisce la nota – nulla ha a che vedere con i fatti storici e con gli eventi drammatici che gli armeni dovettero subire per mano dell’impero ottomano nel 1915, come la deportazione di massa ed i massacri, che la Corte non esita a sottolineare
La pulizia etnica del secolo scorso continua a essere un vero e proprio tabù in Turchia. Il fatto di essere una delle precondizioni perché Ankara possa entrare a far parte dell’Unione Europea non ha modificato in alcun modo la linea del governo, dei dirigenti e delle autorità di quel paese. Si continua, a distanza di 102 anni, a voler nascondere la verità e a impedire che le persone possano liberamente parlare di questo crimine. Nel lungo periodo, la verità storica non può però continuare a essere negata a un livello così compatto, come accadeva quando vi era una forte censura e le informazioni sul genocidio non circolavano.
Il genocidio del popolo armeno, dunque, produce ancora i suoi effetti e la questione del suo riconoscimento è un tema di stringente attualità. Non tutti sanno che esiste persino un decalogo del negazionismo, dieci punti che costituiscono un vero e proprio codice di comportamento per i diplomatici turchi. Le direttive sono state emanate qualche anno fa dal Ministero degli Esteri affinché i propri rappresentanti all’estero possano efficacemente combattere contro le lobby armene. Queste direttive sono state pubblicate dal quotidiano turco Hürriyet (libertà) che, dopo aver constatato che avevano suscitato un’ampia eco all’estero, le ha prontamente tolte dal proprio sito internet.
Agli ambasciatori si chiede, tra le altre cose, di stabilire legami con le università e con i rappresentanti delle organizzazioni sociali dei paesi ove si trovano e di prendere la parola nel corso delle loro manifestazioni e in ogni occasione per spiegare la posizione della Turchia riguardo ai fatti del 1915. Si chiede inoltre di stabilire legami con i diplomatici dei paesi che hanno stretti rapporti con la Turchia: paesi balcanici, del Medio Oriente e in genere paesi vicini.
Nel corso delle riunioni, deve essere posto all’ordine del giorno il tema del genocidio (parola mai pronunciata in quanto bandita, chi ne fa uso in patria viene perseguito penalmente) e creare le condizioni affinché i diplomatici di questi paesi, specialmente quelli che hanno legami stretti con la Turchia, sappiano della posizione turca. La direttiva invita i diplomatici turchi a stringere legami con gli intellettuali dei paesi ove si trovano e spiegare loro la posizione turca.
Secondo il decalogo, la diaspora armena si può suddividere in tre gruppi: chi ha un interesse nella questione del Genocidio; quelli che sono emigrati dalla Turchia e vi hanno ancora dei legami e infine i moderati nei confronti della questione del Genocidio. I diplomatici turchi, secondo il Governo, devono mantenere dei rapporti solo con quest’ultimo gruppo senza però trascurare chi è contro la Turchia che comunque dovrà essere invitato alle manifestazioni delle ambasciate e dei consolati.
In realtà le cose vanno diversamente. Le autorità di Ankara nella pratica quotidiana non hanno un atteggiamento così morbido e tollerante nei confronti di chi parla del genocidio armeno e di chi porta avanti una posizione storica lontana dalla teoria negazionista tanto propugnata in patria. Si può persino affermare che non sono gradite le iniziative – specie quelle pubbliche – dove si afferma la responsabilità dei turchi nella pulizia etnica del popolo armeno nel ventesimo secolo. Lo fa con gli strumenti di pressione tipici di un governo straniero che sovente si configurano come una vera e propria ingerenza negli affari interni di un altro Stato. Le ambasciate sono chiamate a eseguire gli ordini del loro governo.
La lettera scritta ai comuni italiani si inserisce perfettamente in questa attività di pressione che la Turchia, attraverso la sua ambasciata, conduce nei confronti di tutti coloro che parlano apertamente di genocidio. Tra i destinatari delle missive e degli avvertimenti di Ankara ci sono un po’ tutti: dagli intellettuali ai parlamentari, senza eccezione alcuna. Non è casuale, comunque, la scelta di scrivere ai comuni, che in questi anni si sono dimostrati i più attivi nel riconoscere questo crimine contro l’umanità. L’ultimo comune italiano ad aver riconosciuto il genocidio armeno, attraverso una delibera comunale, è stato Agnone, in provincia di Isernia. Molti altri comuni hanno espresso solidarietà alle comunità armene della diaspora, nate dai sopravvissuti.
Uno dei casi più significativi dell’ingerenza turca e delle pressioni nei confronti dei comuni italiani si è verificato nell’ottobre del 2014 a Cagliari, nel corso dell’annuale Meeting del Mediterraneo organizzato dal Centro Italo Arabo e dalla rivista Spondasud. In quell’occasione si parlava dello sterminio di massa degli armeni e delle testimonianze degli ultimi sopravvissuti. Tra gli invitati, oltre l’ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, c’era anche il Sindaco, Massimo Zedda, che rivelò di aver ricevuto una nota dall’ambasciata turca a Roma che lo invitava a non prendere parte alla sessione dedicata al genocidio.
Una richiesta non accolta dal primo cittadino del capoluogo sardo che sottolineò come la pacificazione tra i popoli passasse necessariamente attraverso “il riconoscimento delle proprie responsabilità, soprattutto quando hanno a che fare con i crimini contro l’umanità”. Ci fu anche un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro degli affari esteri, Paolo Gentiloni, che, nella sua risposta, non rivelò alcun comportamento anomalo da parte dell’ambasciata turca in Italia.
Alessandro Aramu – Giornalista professionista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). Per il quotidiano La Stampa ha pubblicato il reportage “All’ombra del muro di Porta di Fatima”, sulla nuova barriera che divide Libano e Israele. È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014) con la prefazione di Alberto Negri. E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. Autore, insieme a Carlo Licheri, del docu -film “Storie di Migrantes” (2016). E’ Presidente del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria, responsabile delle relazioni internazionali del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo Onlus, Vice Presidente del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo della Sardegna.