«Le circostanze della sua morte non sono chiare, stiamo cercando di ricostruire i fatti». Anthony Borden, direttore esecutivo dell’ong Iwpr (Institute for War and Peace Reporting), non crede al suicidio della collega Jacqueline Anne Sutton, la 50enne britannica direttrice dell’Iwpr in Iraq trovata morta sabato notte in una toilette dell’aeroporto Ataturk di Istanbul.
Secondo le autorità turche, Jacky – così la chiamavano affettuosamente – si sarebbe tolta la vita impiccandosi con dei lacci di scarpe. Ma la ricostruzione non convince amici e colleghi della donna, che ora chiedono chiarezza su una fine piena di misteri: «Serve un’indagine internazionale, non solo locale». Perchè le circostanze della morte di Sutton, che aveva lavorato per la Bbc e diverse ong oltre che per le Nazioni Unite in Australia, sono un vero e proprio giallo.
All’aeroporto di Istanbul la donna era arrivata alle 10 di sabato sera con un volo da Londra. Lì, avrebbe solo dovuto fare scalo prima di imbarcarsi 15 minuti dopo la mezzanotte per Erbil, nel nord Iraq, sede del suo ufficio. Ma su quel volo non è mai salita. Dopo averlo perso, raccontano i media turchi, si sarebbe rivolta a un banco informazioni in cerca di aiuto, spiegando di non avere il denaro per comprare un altro biglietto.
Una ricostruzione che però non convince i colleghi, tanto più che le spese di viaggio sarebbero state coperte dalla sua organizzazione. Poi, una presunta reazione nervosa e la fuga in bagno, dove è stata ritrovata senza vita da tre turiste russe che hanno dato l’allarme. Una escalation drammatica che stupisce quelli che la conoscevano.
In Iraq, Sutton aveva molti progetti in corso, tra cui alcune delicate inchieste sulla condizione femminile nell’Isis. «Era molto competente e ben capace di cavarsela in ambienti difficili», spiega Borden. Insomma, una donna abituata ad affrontare situazione ben più complesse di un contrattempo per un volo perso.
Ad accrescere ulteriormente il mistero intorno alla morte di Sutton c’è la fine del suo predecessore all’Iwpr, Ammar Al Shahbander, ucciso con altre 17 persone in un’autobomba esplosa il 2 maggio scorso a Baghdad. A Londra la donna si era recata, tra l’altro, proprio per partecipare a una cerimonia in sua memoria. Ma secondo la stessa ong non ci sarebbero per adesso ragioni per pensare a un collegamento tra le due morti.
Al momento le autorità britanniche restano prudenti, spiegando solo di aver prestato assistenza alla famiglia e di essere in contatto con quelle turche. In tanti invocano però un coinvolgimento diretto del Foreign Office, nella speranza di approfondire indagini che sembrano essersi chiuse troppo rapidamente. Come Susan Hutchinson dell’Australian National Unversity, dove Sutton stava facendo un dottorato al Centro per gli studi arabi e islamici: «Non credo che si sarebbe potuta suicidare. Penso che serva assolutamente un’indagine completa».