(Francesco Gori) – A distanza di due mesi dalla loro liberazione, Vanessa Marzullo, una delle due attiviste rapite in Siria dai terroristi, ha abbandonato il silenzio e ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Repubblica, uno di quegli organi di informazione che si è particolarmente distinto per aver fornito all’opinione pubblica un quadro totalmente distorto di quanto stava accadendo in un paese che da oltre 4 anni è lacerato da una guerra che ha provocato centinaia di migliaia di morti e feriti. Una vicenda sulla quale ancora oggi non è stata fatta piena luce ma che, grazie alle intercettazione del ROS dei Carabinieri, ha mostrato inquietanti rapporti tra le due ragazze e una serie di personaggi (e sigle) che sia in Italia che in Siria si muovono all’interno della galassia jihadista e dell’estremismo islamico.
Malgrado il quotidiano La Repubblica continui ancora oggi a definirle volontarie, Greta e Vanessa non hanno nulla a che fare con un’attività di questo tipo. La loro vicinanza alla cosiddetta rivoluzione siriana e a gruppi che si sono macchiati di orrendi crimini impone a chi fa cronaca di chiamarle con il loro nome, senza che ciò debba necessariamente comportare un giudizio di valore. Greta e Vanessa, come abbondantemente provato, sono due attiviste, due militanti che operano al fianco dei ribelli siriani. Il fatto che in qualche occasione abbiano portato aiuti alla popolazione, non trasforma il loro ruolo (che è essenzialmente politico e non umanitario) e la loro attività in qualcosa di diverso.
La notizia, e la si apprende dall’intervista rilasciata al quotidiano diretto da Ezio Mauro, è che le due ragazze vogliono ritornare in Siria. E vogliono farlo, ovviamente, utilizzando i loro canali, quello dei ribelli, passando attraverso la frontiera turca. Vogliono entrare dalla parte più pericolosa, controllata da gruppi armati che non possono certamente essere considerati moderati. Come è stato evidenziato tutti i rapporti di intelligence occidentali, quell’area, a nord di Aleppo, è il teatro di feroci operazioni di guerra e di scontri accesi tra gruppi di matrice jihadista che si spartiscono il traffico di droga, medicinali, armi e il business dei rapimenti.
Andare lì significa essenzialmente rimettersi nelle mani delle stesse persone che hanno rapito e venduto ad al Nusra (il braccio siriano di al Qaeda) le due ragazze. Lo Stato non può permettersi il lusso di mandare due cittadine italiane da quelle parti e non può neanche correre il rischio che esse vengano rapite di nuovo. A questo punto è dovere delle autorità governative e della magistrature chi siano i contatti che le ragazze stanno utilizzando per andare nuovamente in Siria e, soprattutto, è loro dovere bloccare questo progetti sul nascere.
Davanti a tale dichiarazione, lo Stato dovrebbe ritirare i passaporti alle due ragazze, impedire che possano di nuovo mettersi nei guai e mettere a rischio la sicurezza nazionale. Le due ragazze possono continuare a pensarla come vogliono: stupisce che dopo essere state rapite dai terroristi di al Qaeda o, comunque, da gruppi armati di matrice jihadista, continuino a inveire contro “il sanguinario regime di Assad”.
Certamente possono pensarla come vogliono, dopo tutto fanno politica e non si può pretendere che possano cambiare opinione su quanto sta accadendo in Siria. La loro benevolenza nei confronti dei taglia gole dello Stato Islamico e delle bande armate che ogni giorno massacrano civili inermi desta certamente un po’ di sospetto e alimenta dubbi su un sequestro sul quale troppo frettolosamente il sistema informativo italiano ha fatto calare il silenzio.
La pensino, dunque, come vogliono ma impediamo loro di ritornare in Siria. C’è in ballo la loro vita (e questo può anche importare poco a molte persone) ma soprattutto la tenuta del nostro sistema democratico che non può piegarsi a un nuovo riscatto che servirebbe soltanto ad alimentare altro terrore e altra violenza.
Fermiamo Greta e Vanessa prima che sia troppo tardi. E teniamo i loro passaporti in cassaforte.
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