(Alessandro Aramu) – Per decenni le autorità siriane si sono rifiutate di demarcare il confine internazionale con il vicino Libano. A un certo punto del conflitto, l’esercito di Damasco è stato costretto a minare una parte della frontiera, quella non controllata da Hezbollah che, invece, è riuscito a garantire la sicurezza e la protezione della popolazione sciita nelle aree sotto il suo controllo. La presenza delle sue milizie armate, quelle che l’Europa ha messo al bando e ha definito “terroristiche”, ha impedito che il Libano diventasse teatro di operazioni militari su vasta scala.
Il confine tra Siria e Libano esiste solo sulla carta: sono continui i passaggi da parte dei profughi siriani verso il Libano per sfuggire alla guerra, così come giornalieri sono i transiti di combattenti e di convogli di armi provenienti da diverse parti nel mondo. Durante il dominio siriano sul Libano (1975-2000) i due paesi erano uniti sotto l’al-niẓām al-‘amnī al-muštarak (il regime della sicurezza condivisa), che stabiliva in pratica il controllo della Siria sul Libano. Oggi i due paesi sono strettamente collegati e avvinghiati dalle dinamiche del conflitto civile siriano.
L’esercito libanese non è in grado di garantire autonomamente il controllo dei propri confini e neppure di contrastare sufficientemente l’imponente macchina da guerra messa a disposizione dall’Occidente e dalle Monarchie del Golfo ai cosiddetti ribelli. La presenza di Hezbollah ha limitato il traffico di armi dal nord-est del Libano verso la regione centrale siriana di Homs, una delle roccaforti dei ribelli anti Assad. Gli sconfinamenti delle forze armate siriane in alcuni angoli dell’alta valle libanese della Beqaa sono avvenuti proprio per evitare il flusso di armi. Azioni che Hezbollah ha assicurato anche con la propria presenza e il proprio supporto.
Oggi si calcola che l’esercito di Hezbollah conti circa 7mila uomini più 20mila riservisti, superiore per qualità e armamenti a quello regolare. In numeri sono in difetto. Da giugno del 2012 Hezbollah ha fatto il suo ingresso ufficialmente nella guerra siriana e ha combattuto in tutto il Paese a fianco dell’esercito siriano per garantire la sopravvivenza della popolazione sciita contro gli attacchi delle frange più estremiste del mondo sunnita, le stesse che hanno preso di mira anche le altre componenti religiose presenti in Siria, in primis i cristiani. La sopravvivenza di Assad costituisce una condizione essenziale per mantenere il pluralismo siriano e il permanere di componenti della società che gli estremisti islamici e i gruppi armati jihadisti vogliono eliminare o convertire con l’uso della forza. Nell’intervento in Siria c’è anche una componente di autoconservazione da parte di Hezbollah, che risponde ad equilibri di natura politica. Mantenere una leadership in Libano significa rivendicare un ruolo più forte nei processi decisionali interni ed esteri. La solida alleanza con l’Iran e con la Russia sono una garanzia per far parte di quei processi in una visione multilaterale del mondo, non più dominata dai soli americani.
Ai più distratti osservatori delle vicende libanesi che accusano Hezbollah di aver trascinato il paese nel conflitto bisogna ricordare che quello stesso paese è stato tirato dentro la guerra siriana dall’Occidente molto tempo prima. È dimostrato che Stati Uniti ed Europa (oltre alle monarchie del Golfo e alla Turchia) hanno utilizzato alcune componenti politiche interne con l’obiettivo di rovesciare il governo di Assad.
Come dimenticare, dopotutto, il coinvolgimento del parlamentare Okab Sakr in un vasto traffico di armi verso la Siria. Okab Sakr fa parte dell’Alleanza 14 Marzo, la coalizione filo-saudita e filo-occidentale formata intorno al leader sunnita Saad Hariri, di cui si vanta di essere grande amico. Giornalista, è stato vice direttore di al-Balad ed ha fondato il sito web dell’opposizione libanese, NowLebanon.com. Dopo aver ripetutamente negato un coinvolgimento in tal senso, è stato costretto ad ammettere il suo ruolo di trafficante di armi dopo che il quotidiano libanese al-Akhbar e il canale televisivo OTV hanno diffuso le registrazioni che lo inchiodavano alle sue responsabilità. Oggi noi sappiamo che un parlamentare è stato la principale fonte del traffico d’armi, violando così la politica di neutralità del Libano e il diritto internazionale. E come dimenticare la presa di posizione del Partito del Movimento del Futuro (Hariri) che ha immediatamente sostenuto Okab Sakr, garantendo nel contempo che il membro aveva agito “a titolo personale”. Tuttavia, un membro del suo gruppo parlamentare, Khaled Daher, ha lodato questa “iniziativa”, definendola “supporto alla nobile rivoluzione umanitaria contro il regime di assassini.”
Attraverso quelle registrazioni si è scoperto che diversi centri di operazione nel traffico di armi erano in Turchia: uno ad Antakya, un altro a Adana, e un terzo ad Istanbul. Sakr avrebbe istituito la sua sede nel quartiere di Florya a Istanbul, dove organizza talvolta delle riunioni. Impensabile che questo sia avvenuto senza il sostegno del governo Erdogan e delle sue forze di sicurezza impegnate per lungo tempo in un’azione di supporto alla cosiddetta resistenza siriana. Da questo centro di comando dipendevano un numero imprecisato di giovani provenienti da diverse regioni siriane, con il compito di effettuare delle operazioni militari. Essi coordinavano, con i comandanti dei gruppi armati, la fornitura di fondi e di materiale militare necessario ai combattenti, tutto ciò con la supervisione di ufficiali dell’esercito turco e qatariota. Le operazioni venivano coordinate attraverso un satellite di comunicazione, precisamente Thuraya, e telefoni satellitari come Iridium.
Nel corso delle intercettazioni, appare un quadro inquietante. Una fonte anonima accusa il deputato libanese di “versare denaro ai comandanti dei gruppi armati senza distinguere tra gli assassini mercenari e l’opposizione patriottica”. A completare il quadro su questo personaggio che siede nel parlamento libanese c’è un altro elemento: Sakr è molto amico di Abou Ibrahim, il capo dei rapitori dei nove pellegrini libanesi rapiti nel 2012 dai ribelli siriani e liberati dopo un anno di detenzione. Quest’ultimo riceverebbe un salario mensile di 50.000 dollari, consegnatigli proprio dai giovani che lavorano nel comando di Sakr.
Di fronte a tutto ciò appare risibile l’accusa rivolta di Hezbollah di aver trascinato il Libano nella crisi siriana. È un’accusa infondata e bugiarda che fa comodo alla disinformazione e alla propaganda occidentale. Hezbollah ha invece il merito di aver impedito che tutto il Libano si trasformasse non solo nel luogo di addestramento di cellule terroristiche da inviare poi in Siria, ma anche una colossale succursale del traffico internazionale di armi. Grazie alla sua presenza, i danni sono stati limitati, il Libano ha mantenuto intatta la sua sovranità e la popolazione sciita vive con una certa tranquillità nelle proprie case, seppure minacciata da atti terroristici e dai razzi che i ribelli inviano dalla Siria verso le aree controllate da Hezbollah. @AleAramu (1. continua)
Alessandro Aramu (1970). Giornalista professionista. Laureato in giurisprudenza, è direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria(Arkadia Editore 2014). E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. E’ responsabile delle relazioni internazionali della Federazione Assadakah Italia – Centro Italo Arabo e Presidente del Coordinamento nazionale per la pace in Siria.