
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan dichiara di voler sciogliere le sue forze guerrigliere, a pochi mesi dall’appello in tal senso del suo leader incarcerato
Il gruppo militante curdo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che per oltre quarant’anni ha condotto attacchi e un’insurrezione armata contro la Turchia, deporrà le armi e si scioglierà, rispondendo così all’appello del suo leader incarcerato Abdullah Öcalan lanciato nei mesi scorsi. I vertici dell’organizzazione, considerata un gruppo terroristico da Turchia, Regno Unito e Stati Uniti, hanno dichiarato che la lotta armata ha “portato la questione curda a un punto di possibile risoluzione tramite la politica democratica, e in questo senso il PKK ha compiuto la sua missione storica.”
L’annuncio potrebbe avere ripercussioni significative anche sulle milizie operanti vicino ai confini della Turchia con Iraq e Iran, oltre che su gruppi alleati o scissionisti attivi nel nord-est della Siria. Tuttavia, nonostante il riferimento a una “nuova fase”, la decisione del PKK appare unilaterale, senza segnali chiari di dialogo da parte delle autorità di Ankara.
La decisione arriva dopo mesi di contatti tra il politico nazionalista Devlet Bahçeli, alleato del presidente Recep Tayyip Erdoğan e leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), e i rappresentanti curdi in Turchia. Secondo alcuni media locali, Bahçeli avrebbe cercato un’intesa con il partito filo-curdo DEM (Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli) per rafforzare l’influenza di Erdoğan e garantirgli un prolungamento della leadership oltre i due mandati presidenziali.
Il portavoce del partito di governo AKP, Ömer Çelik, ha accolto l’annuncio con prudenza: “Se la decisione del PKK sarà pienamente attuata, con la chiusura di tutte le sue strutture, rappresenterà un punto di svolta.”
I vertici del PKK hanno definito la scelta di fermare la lotta armata “una base solida per una pace duratura e una soluzione democratica” e hanno rinnovato l’appello per la liberazione di Öcalan, affinché possa guidare personalmente il processo di scioglimento. Il leader curdo è detenuto dal 1999 nel carcere di massima sicurezza dell’isola di İmralı, al largo di Istanbul, dopo essere stato catturato in Kenya da forze speciali turche.
Fondato nel 1978, il PKK ha guidato un’insurrezione armata a partire dal 1984, rivendicando maggiori diritti e autonomia per la popolazione curda nella Turchia sud-orientale. Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno accusato il gruppo di aver danneggiato le stesse comunità curde rurali che intendeva difendere, soprattutto negli anni ’90.
Secondo l’International Crisis Group (ICG), decine di migliaia di persone sono morte nel conflitto, che ha avuto un picco di violenza dopo il crollo dell’ultimo cessate il fuoco nel 2015. Solo nell’anno successivo alla fine del negoziato sono stati uccisi oltre 1.700 tra civili, militanti curdi e membri delle forze armate turche.
La decisione di scioglimento del PKK isola ulteriormente le forze curde alleate nel nord-est della Siria. Le Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute in passato dagli Stati Uniti nella lotta contro l’ISIS, subiscono ora pressioni crescenti per integrarsi nel nuovo esercito siriano, dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad e il ritiro delle truppe americane dal nord-est. Il comandante delle SDF, Mazloum Abdi, ha firmato a marzo un accordo con le nuove autorità di Damasco per incorporare le istituzioni guidate dalle SDF nel nascente Stato siriano. Ha tuttavia chiarito che la decisione del PKK non avrà ripercussioni sulle SDF: “Per essere chiari, questa decisione riguarda solo il PKK e non ha nulla a che fare con noi qui in Siria.”
Winthrop Rodgers, del think tank internazionale Chatham House, ha affermato che per accogliere le richieste dei partiti curdi sarebbe necessaria “una profonda transizione democratica da parte della Turchia”. Rodgers ha osservato che negli ultimi mesi alcuni leader turchi hanno mostrato “una certa apertura”, che ha reso possibile il processo di scioglimento del PKK. Ha poi aggiunto: “Resta però molto incerto se questa apertura si estenderà ai cambiamenti necessari per garantire la piena partecipazione dei curdi alla vita politica e sociale: “Sotto molti aspetti, – ha concluso – ora la palla è nel campo della Turchia.”