Secondo quanto riportato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, gli attacchi aerei effettuati dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti contro le postazioni dello Stato Islamico hanno ridotto la capacità di produzione, contrabbando e raffinazione petroliferi dell’organizzazione jihadista.
L’intervento della coalizione ha colpito alcune delle infrastrutture petrolifere controllate dai terroristi, causando una diminuzione nella produzione di greggio da 20.000 barili al giorno a 7.000. Quanto all’attività di contrabbando, essa è diminuita a 10.000 barili al giorno dai 30.000 iniziali.
La voce maggiore del “Prodotto interno lordo” del Califfato è proprio il contrabbando di petrolio, un lucroso business che è andato crescendo quando l’offensiva si è estesa in Iraq. Un commercio capace di generare dai due a tre milioni di dollari al giorno.
«Lo Stato islamico è probabilmente il gruppo terroristico più ricco mai conosciuto» aveva spiegato Matthew Levitte, direttore del programma d’intelligence e antiterrorismo al Washington Institute for Near East Policy. «Non sono integrati nel sistema finanziario internazionale e per questo non sono vulnerabili». Una ricchezza stimata da molti analisti intorno ai 2 miliardi di dollari. In principio accumulata con le spettacolari rapine, come quella alla Banca di Mosul (420 milioni di dollari).
Come ha ricordato il quotidiano economico Il Sole 24Ore, il greggio dell’ISIS viene venduto sul mercato nero a prezzi davvero concorrenziali – con sconti del 40-70% – attraverso i porosi confini con Turchia e Giordania. Solo dall’Iraq, produrrebbe dai 25 ai 40mila barili di petrolio al giorno.
Tra gli acquirenti ci sarebbe anche l’Europa. La signora Jana Hybášková, ceka, ambasciatrice europea in Iraq, ha infatti detto all’inizio di settembre, durante un briefing della Commissione Affari Esteri del parlamento europeo, che “alcuni paesi europei hanno comprato petrolio dall’Isis”. L’ambasciatrice non ha voluto precisare a quali paesi si riferisse.
Dietro il traffico ci sarebbe la Turchia che ospiterebbe la principale rete di contrabbando ma anche quelli della Giordania e del Kurdistan iracheno, peraltro molto legato ad Ankara.