Il coraggio di parlare chiaro. La dottrina spagnola su Palestina, Israele, Gaza e Hamas


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(Alessandro Aramu) – La posizione di Madrid sulla guerra a Gaza e sul futuro israelo-palestinese è diventata, nel volgere di un anno, una dottrina coerente: riconoscimento formale dello Stato di Palestina entro i confini del 1967; netta condanna di Hamas come organizzazione terrorista e sua esclusione da qualsiasi architettura politica futura; sostegno all’Autorità Nazionale Palestinese come unico interlocutore; un pacchetto di misure concrete e verificabili per indurre il governo israeliano a conformarsi al diritto internazionale e proteggere i civili. È una linea che rifiuta lo schema tossico “o con Israele o con Hamas” e richiama l’Europa a un linguaggio di diritti, legalità e responsabilità.

Una scelta di principio: riconoscere la Palestina non “contro qualcuno”, ma per la pace

Il 28 maggio 2024 la Spagna ha riconosciuto lo Stato di Palestina, allineandosi con Irlanda e Norvegia e fissando paletti giuridici chiari: confini del 1967, Gerusalemme Est capitale, contiguità territoriale tra Cisgiordania e Gaza, e nessuna modifica unilaterale alle linee del ’67. Il governo ha esplicitato che non si tratta di una decisione “contro nessuno, tanto meno contro Israele”, ma di un passo per rendere praticabile la soluzione a due Stati.

Hamas non è un attore politico legittimo

Sul capitolo Hamas, la posizione spagnola non ammette ambiguità: Hamas è un gruppo terrorista e “non ha alcun ruolo nel futuro di pace” per i palestinesi e la regione; l’interlocutore è l’Autorità Nazionale Palestinese, che Madrid sostiene. È un punto ribadito dal ministro degli Esteri José Manuel Albares anche in risposta a chi, all’estero, ha provato a leggere le mosse spagnole come un “ammorbidimento” verso Hamas.  Questa fermezza si colloca nella cornice europea: dal gennaio 2024 l’UE ha creato un regime sanzionatorio dedicato contro Hamas e la Jihad Islamica Palestinese, che Madrid sostiene.

Dalle parole ai fatti: l’embargo sulle armi, i divieti e le sanzioni mirate

Nel 2025 la Spagna ha trasformato la dottrina in politica coercitiva: embargo sulla compravendita di armi con Israele; restrizioni su porti e spazio aereo per navi e velivoli che trasportano armi o carburanti militari diretti in Israele; divieti d’ingresso per figure di spicco dell’estrema destra israeliana e altri soggetti ritenuti coinvolti nelle violazioni a Gaza. Queste misure sono state annunciate pubblicamente dal premier Pedro Sánchez e dal ministro Albares e sono operative.

Fonti internazionali hanno registrato l’ulteriore stretta: Washington ha espresso “preoccupazione” per le limitazioni spagnole all’accesso di spedizioni militari dirette in Israele, notando anche i divieti di ingresso contro ministri come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich; Madrid ha richiamato l’ambasciatore per consultazioni, segno di una crisi diplomatica gestita con la stessa linearità mostrata sul piano normativo.  Il quadro descritto nei documenti allegati dall’utente coincide: embargo, blocchi logistici e sanzioni personali sono gli assi portanti della risposta spagnola.

Le azioni di Israele come genocidio

La Spagna, è doveroso rammentarlo, è stata la prima a utilizzare pubblicamente il termine genocidio per descrivere le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza. Si è dunque unita al caso presentato dal Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia, intervenendo nel procedimento che accusa Israele di violazioni della Convenzione sul genocidio. Il primo ministro Sánchez ha ribadito che non si tratta più solo di critica morale, ma di una denuncia che implica responsabilità legali sotto il diritto internazionale. Il governo spagnolo, infatti, sostiene che le azioni militari israeliane – bombardamenti, limitazioni agli aiuti, sfollamenti di massa, vittime civili – possano corrispondere agli elementi previsti dalla Convenzione sul genocidio.

Come è noto, la posizione è molto controversa: alcuni attori interni alla Spagna, così come altri Paesi, hanno chiesto prove più concrete dell’elemento intenzionale specifico richiesto legalmente per qualificare un atto come genocidio. Ad ogni modo, Madrid ha sottolineato come la comunità internazionale abbia il dovere – anche giuridico – di adottare misure efficaci per prevenire atti che possano degenerare in genocidio, come previsto dalla normativa internazionale. Una posizione che ha segnato un punto di svolta politico e diplomatico nell’analisi internazionale sulla questione.

La cornice che regge tutto: diritto internazionale e giurisdizioni

La linea spagnola è legalista: si appoggia ai Trattati e agli organi giurisdizionali. Nel giugno 2024, Madrid ha depositato alla Corte Internazionale di Giustizia un atto d’intervento nel procedimento avviato dal Sudafrica sulla Convenzione sul genocidio, motivandolo con la responsabilità degli Stati parte e la tutela del diritto internazionale umanitario. È un gesto che trascende la retorica e vincola politicamente il governo alle pronunce della Corte.  In parallelo, nel 2025 si è aperta anche a Bruxelles una finestra (politicamente complessa) su sanzioni europee verso Israele: un dibattito in cui la Spagna è fra i governi che spingono per coerenza fra principi e strumenti.

Criticare le politiche del governo israeliano non è antisemitismo. E non è sostegno a Hamas.

La chiarezza spagnola si misura anche nella semantica. Essere contrari alla condotta militare del governo israeliano a Gaza – o chiederne la conformità alle Convenzioni di Ginevra – non è, in sé, antisemitismo, né tantomeno adesione a Hamas. Due riferimenti autorevoli aiutano a delimitare il campo:

  • La definizione di lavoro dell’IHRA (adottata da oltre 40 Paesi) specifica che “la critica ad Israele simile a quella rivolta a qualunque altro paese non può essere considerata antisemitismo”. Questo punto è cruciale per separare il pregiudizio antiebraico dalla critica politica.
  • La Jerusalem Declaration on Antisemitism (JDA), firmata da centinaia di studiosi, chiarisce che sostenere i diritti dei palestinesi o invocare pressioni internazionali su Israele non è di per sé antisemitico; al contrario, sono antisemitiche la negazione dell’Olocausto o l’uso di stereotipi classici applicati agli ebrei o a Israele.

Queste cornici – pur dibattute – offrono criteri verificabili: aiutano a respingere le accuse strumentali e, allo stesso tempo, a riconoscere e contrastare l’antisemitismo reale quando si manifesta. (Per un quadro del dibattito accademico e politico attuale intorno all’IHRA e alle sue applicazioni, si veda anche la rassegna di discussioni e controversie emerse nel 2025.)

Una linea europea? Perché la “chiarezza” spagnola conta

La postura di Madrid ha effetti sistemici su tre livelli:

  1. Normativo: rafforza l’idea che i riferimenti alle frontiere del 1967 e alla protezione dei civili non siano formule rituali, ma criteri per orientare sanzioni, embargo e condizionalità.
  2. Diplomatico: segnala che si può restare alleati di Israele – e amici del popolo israeliano – senza rinunciare alla denuncia di pratiche illegali o sproporzionate, e senza concedere legittimità a Hamas.
  3. Politico-europeo: spinge l’UE a fare i conti con la propria coerenza. Se Bruxelles può sanzionare Hamas e i suoi finanziatori, può anche – quando il quadro probatorio lo richiede – valutare misure verso attori statali che violino il diritto internazionale umanitario. Il dibattito aperto ai vertici europei nel 2025 va letto in questa chiave.

Insomma, “parlare chiaro” significa, per Madrid, evitare doppie morali e inutili strumentalizzazioni di parte:

  • Condannare Hamas e sostenerne le sanzioni;
  • Proteggere i civili nella Striscia e chiedere accountability;
  • Riconoscere lo Stato di Palestina come strumento per riaprire una prospettiva politica;
  • Usare embargo, restrizioni logistiche e sanzioni mirate quando la diplomazia non basta.
    È una cassetta degli attrezzi che non confonde il popolo ebraico – e la legittima sicurezza di Israele – con le scelte di un governo; e che non confonde la difesa dei diritti palestinesi con l’apologia di un gruppo terrorista. In tempi di slogan, è una politica estera argomentata, ancorata al diritto e verificabile nei fatti.


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