Nel mondo del web 2.0, la minaccia dello Stato Islamico (Is) cresce ogni giorno di più e si appoggia ad ‘hackerattivistì per diffondere il suo messaggio di terrore. È quanto sostiene FireEye, società americana che si occupa di cybersicurezza, secondo cui l’Is non sfrutta solo messaggi registrati, video cruenti e immagini sanguinarie ma si alimenta, in maniera crescente, del potenziale di attacchi cybernetici e operazioni sofisticate contro siti, emittenti tv e mass media mondiali. Vere e proprie incursioni, dietro cui, avvisano gli esperti, è sempre più possibile scorgere pirati informatici che operano in autonomia in nome dell’Is e che, con la gerarchia del Califfato, non c’entrano nulla.
Una minaccia, quella dei cyber-terroristi, tanto pericolosa quanto in aumento, contro cui giocare d’anticipo è difficile. È vasta la gamma degli obiettivi sensibili degli hacker, dicono alla Bbc dalla FireEye, e va dalle piccole emittenti alle grandi compagnie di comunicazione americane o europee. Una rete talmente grande da risultare allo stesso tempo fragile, esposta alle iniziative di sabotatori più o meno vicini alle alte gerarchie dell’Is. «Ci sono tante persone che vanno in Siria a combattere al fianco dei terroristi dell’Is, ma un altro modo per combattere (per loro, ndr.) è rimanere a casa: se hai una connessione internet e te la cavi con il pc puoi assolutamente contribuire alla lotta dello Stato Islamico», ha spiegato Davide Merkel, capo dell’ufficio tecnologico della FireEye.
Gli strumenti informatici sono da tempo, per i terroristi in azione nelle zone di guerra, uno strumento essenziale per capire i movimenti delle truppe nemiche. Ma accanto a questa rete di hacker è ormai sempre più attivo, ricorda Merkel, un fitto sottobosco di persone sparse in tutto il mondo che compiono attacchi informatici in nome dell’Is e diffondono, così, il messaggio dei terroristi. «Attribuire questi atti direttamente all’Is è difficile – ha commentato l’esperto della FireEye – ma certo si tratta di iniziative condotte nel nome del Califfato».
Tra i cyberattacchi dell’Is, il caso più famoso è quello contro l’emittente francese TV5 Monde, oscurata dagli hacker per diverse ore lo scorso 9 aprile. Merkel non esita a definirlo l’esempio di maggior impatto. Eppure, ha sottolineato, l’oscuramento è opera di simpatizzanti dell’Is più che dei suoi tecnici. E a dimostrarlo è il fatto che i social-media ufficiali del Califfato hanno impiegato alcune ore prima di riconoscere che non si trattava di una mossa decisa dall’alto.
«La mancanza di connessione tra gli attacchi informatici e la gerarchia dell’Is rende difficile giocare d’anticipo e capire quale sarà il prossimo obiettivo e come i terroristi agiranno poi», ha ribadito Merkel. E tra attacchi di minor entità, che puntano solo a mandare in tilt il sistema e a riempire i siti mondiali di video e immagini di propaganda, e quelli più sofisticati, che costringono invece ad intervenire persino l’intelligence, Rick Howard, capo dell’ufficio tecnologico della società di sicurezza Palo Alto Networks, avverte: «Queste iniziative combinano insieme elementi terroristici e gruppi sponsorizzati dall’Is. Chi fa questo cerca l’esposizione mediatica, ma ha comunque bisogno di adeguate competenze tecniche per poterlo fare». Perché, chiosa l’esperto, «c’è differenza tra un terrorista e chi fa propaganda»