di NAMAN TARCHA
Il 10 novembre il presidente di transizione siriano Al Sharaa é atteso da Trump. La prima volta in assoluto per un presidente della Siria alla Casa Bianca. Quando l’abito fa il monaco… e il terrorista fa il presidente!
C’era una volta un giovane di nome Abu Mohammad al-Jolani, che aveva la pessima abitudine di far saltare in aria le cose e di frequentare compagnie poco raccomandabili come Al-Qaeda. Oggi, quello stesso signore si chiama Ahmed al-Sharaa, indossa eleganti giacche occidentali, riceve standing ovation alle Nazioni Unite e si prepara persino a sedersi alla Casa Bianca. Se questo non è il più spettacolare caso di rebranding della storia moderna, allora non sappiamo cosa sia.
Riabilitazione e cambiamento indotto
Il nostro protagonista, ex membro di Al-Qaeda meglio conosciuto come Abu Mohammad al-Jolani, è stato nominato presidente della Siria per un periodo di transizione dopo aver rovesciato la Siria di Assad lo scorso dicembre. E qui inizia la magia: al-Jolani ha sostituito i suoi abiti jihadisti mimetici con giacche in stile occidentale, ha stabilito un governo semi-tecnocratico a Idlib e si è promosso come partner valido negli sforzi occidentali per frenare l’influenza dell’Iran in Medio Oriente.
Un cambiamento di guardaroba, qualche promessa di democrazia e voilà! Il gioco è fatto. Chi avrebbe mai pensato che bastasse così poco per passare dall’essere nella lista nera del terrorismo internazionale al ricevere il plauso delle cancellerie europee?
L’arte occidentale del perdono selettivo
Al-Sharaa ha ottenuto un ampio riconoscimento internazionale del sistema politico siriano post-Assad e, cosa ancora più cruciale, ha ottenuto l’alleggerimento delle sanzioni dagli Stati Uniti e da altri paesi di cui la Siria ha un disperato bisogno per riprendersi e ricostruirsi. È davvero commovente vedere come i governi occidentali siano così pronti al perdono quando conviene loro geopoliticamente.
Dopo tutto, cosa sono mai cinque anni di carcere in Iraq per terrorismo quando si ha il carisma giusto e si sa come stringere le mani giuste? Il generale Petraeus, che comandava le forze USA in Iraq, imprigionò al-Sharaa per cinque anni ma ne assicurò anche la riabilitazione. Operazione condotta dagli inglesi sotto la guida americana per ammissione dell’ex Ambasciatore Usa a Damasco. Un vero programma di reinserimento sociale per aspiranti leader democratici, evidentemente.
Washington apre le porte: la visita che consacra la metamorfosi
E ora arriva il tocco finale di questa straordinaria operazione di riabilitazione: Al-Sharaa è atteso a Washington per una visita ufficiale che prevede la firma di un accordo per l’ingresso formale della Siria nella coalizione internazionale contro Daesh cosiddetta ISIS. Sì, avete letto bene: l’ex combattente jihadista sta per firmare un accordo antiterrorismo alla Casa Bianca.
La mossa è ovviamente di un’ironia squisita: colui che un tempo militava nelle file dell’organizzazione terroristica ora diventa ufficialmente un alleato nella lotta contro… il terrorismo. Un paradosso così perfetto che neanche il migliore sceneggiatore di Hollywood avrebbe osato scriverlo.
Dal punto di vista strategico, Trump presenta la mossa come una necessità pragmatica: con la Siria instabile e ancora parzialmente occupata militarmente dagli USA e con cellule dell’ISIS presenti in alcune zone, avere al-Sharaa come partner “affidabile” permetterebbe di consolidare gli sforzi nella regione. Naturalmente, il fatto che questa partnership serva anche a contenere l’influenza dei jihadisti, suoi alleati e partner nel Cambio di Regime, tuttora nelle file delle forze che controllano Damasco, e a riposizionare gli asset occidentali in Medio Oriente è solo una piacevole coincidenza.
I critici, ovviamente, gridano allo scandalo. Organizzazioni per i diritti umani e alcuni osservatori americani ed europei denunciano quella che definiscono “un’amnesia strategica pericolosa” e un “tradimento dei principi democratici”. Ma a Washington, come nelle altre capitali occidentali, prevale la linea del “realismo”: meglio un ex terrorista riabilitato e collaborativo che il caos o un vuoto di potere sfruttabile da attori ostili.
La nuova Siria: volti diversi in nuove giacche
Al-Sharaa si è impegnato a intraprendere una transizione politica che include una conferenza nazionale, un governo inclusivo ed eventuali elezioni, che ha detto potrebbero richiedere fino a quattro anni per essere organizzate. Quattro anni per organizzare elezioni! Un record di velocità che farebbe invidia anche ai regimi più democratici del mondo.
Dopo aver tagliato i legami con Al-Qaeda intorno al 2016, ha cercato di riabilitare la sua immagine e, dopo essere diventato leader della Siria, ha fatto passi verso un riavvicinamento con l’Occidente. È incredibile come sia bastato “tagliare i legami” con un’organizzazione terroristica per diventare improvvisamente rispettabile. Se solo tutti i curriculum vitae potessero essere riscritti con tale facilità!

Il trionfo del pragmatismo geopolitico
La trasformazione di al-Jolani in al-Sharaa è un capolavoro di pragmatismo geopolitico. Il nuovo leader siriano tenterà di convincere i leader occidentali ed europei che i suoi giorni da terrorista sono alle spalle, e a giudicare dalle reazioni internazionali – culminate nell’invito ufficiale a Washington – sembra che ci stia riuscendo piuttosto bene.
Passando da leader salafita-jihadista a figura politica che cerca l’integrazione nel panorama internazionale, Al-Sharaa capitalizza su atti simbolici, come la cattura della cittadella di Aleppo e la sua visita alla Moschea degli Omayyadi, adottando un approccio che combina pragmatismo politico con un’incredibile capacità di marketing personale.
“Fidatevi, la stagione del jihad è finita, ora pensiamo solo agli investimenti, allo sviluppo e alla lotta contro l’ISIS!” Come dire: “È stata solo una fase adolescenziale un po’ movimentata, ora sono maturo e responsabile”. E la firma dell’accordo antiterrorismo a Washington sarebbe la prova definitiva di questa maturità ritrovata.
E naturalmente tutti ci credono. Perché quando ci sono da ricostruire infrastrutture, spartirsi appalti miliardari e riposizionare alleanze strategiche, improvvisamente i curriculum passati diventano dettagli trascurabili. L’Italia, dal canto suo, che ha appena accreditato ufficialmente il suo ambasciatore a Damasco, promette sostegno “con attenzione alle minoranze” – una postilla di stile che suona come “ok, facciamo affari, ma almeno fingiamo di avere dei principi”.
Il tutto condito dalla solita retorica del “realismo diplomatico” – quel magico concetto che trasforma qualsiasi voltafaccia in saggia pragmaticità. Davvero, la geopolitica ha una capacità di riciclaggio che neanche l’industria dell’alluminio.
Il rebranding perfetto: dal jihad alla Casa Bianca
Ah, che bello vedere come funziona la diplomazia moderna! Bastano pochi mesi e voilà – da jihadista a rispettabile capo di stato con tanto di tour mondiale delle cancellerie occidentali e, ciliegina sulla torta, un invito ufficiale alla Casa Bianca per firmare accordi sulla sicurezza internazionale.
Al-Sharaa, che fino a poco tempo fa guidava gruppi jihadisti, ora fa la tournée dei grandi: Trump, Macron, Meloni, tutti in fila per stringergli la mano. E il prossimo appuntamento sarà quello più importante: Washington, dove il presidente degli Stati Uniti lo accoglierà non come un ex terrorista, ma come un “partner strategico” nella lotta contro l’estremismo. Una vera e propria operazione “rebranding” che farebbe invidia alle migliori agenzie di comunicazione.
La scelta dell’accordo anti-ISIS come veicolo di legittimazione è geniale nella sua audacia: quale miglior modo per lavare il proprio passato jihadista se non combattere pubblicamente contro altri jihadisti? È come se un ex piromane diventasse capo dei vigili del fuoco e tutti applaudissero per la sua “redenzione” mentre ancora aleggia nell’aria l’odore di bruciato dei suoi vecchi incendi.
L’importante è essere utili
In un mondo dove le apparenze contano più della sostanza, Ahmed al-Sharaa ci ha mostrato che con la giacca giusta, le parole giuste, gli interessi geopolitici giusti e soprattutto la disponibilità a firmare i trattati giusti, con un totale silenzio complice della stampa occidentale, anche un passato da terrorista può essere trasformato in un curriculum presidenziale con tanto di visita di stato alla Casa Bianca.
I governi occidentali, sempre pronti a predicare democrazia e diritti umani, si sono dimostrati altrettanto pronti a chiudere un occhio (o due) quando la realpolitik lo richiede. Dopo tutto, meglio un ex terrorista riabilitato che firma accordi antiterrorismo che un dittatore scomodo o un vuoto di potere sfruttabile dai nemici, no?
E così, mentre la Siria si avvia verso la sua “transizione democratica” sotto la guida di un ex jihadista trasformato in statista e partner della coalizione anti-ISIS, possiamo solo ammirare la capacità umana di riscrivere la storia con un semplice cambio di abito e la firma di qualche documento diplomatico.
Del resto, in politica internazionale, l’importante non è chi sei stato, ma chi puoi essere utile a diventare. E se questa utilità include la possibilità di sedersi nello Studio Ovale per firmare accordi sulla sicurezza internazionale, allora il cerchio della riabilitazione è davvero completo.
Benvenuti in Occidente, dove il passato è sempre negoziabile e il futuro appartiene a chi sa reinventarsi al momento giusto.



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