
(Raimondo Schiavone) – Oggi, 25 maggio, il Libano celebra la Giornata della Resistenza e della Liberazione, il giorno in cui, venticinque anni fa, l’ultimo soldato israeliano abbandonava il sud del Paese, costretto alla ritirata da un popolo che non ha mai chinato la testa. Un popolo che ha trovato in Hezbollah e nel Movimento Amal i suoi difensori, i suoi martiri, i suoi architetti di dignità.
Non fu un esercito regolare a liberare il Libano, né una coalizione di superpotenze a calare dal cielo per garantire giustizia. Fu una Resistenza popolare, sciita nei cuori ma nazionale negli orizzonti, a fare arretrare l’occupazione israeliana. Furono contadini armati, studenti pronti al sacrificio, donne e uomini cresciuti all’ombra dell’umiliazione, ma decisi a trasformare la Storia.
Hezbollah – troppo spesso liquidato in Occidente come mera “organizzazione paramilitare” – è, per il Libano, un pilastro sociale, un partito politico radicato, una rete di protezione reale nei quartieri poveri di Beirut, nei villaggi del sud, nelle zone dimenticate dallo Stato. Ha costruito scuole, ospedali, cliniche gratuite, ha sostenuto le famiglie dei martiri e difeso la dignità dei profughi. E tutto questo mentre veniva bombardato, isolato, demonizzato da quei poteri che ogni giorno parlano di democrazia a senso unico.
Quella del 25 maggio 2000 non fu solo una vittoria militare. Fu una vittoria simbolica, spirituale, identitaria. Un popolo povero, abbandonato, riuscì a scacciare una delle potenze militari più sofisticate del mondo. Senza cedere. Senza tradire. Senza vendersi.
E oggi più che mai il ricordo brucia. Il bombardamento israeliano che venerdì ha assassinato a Beirut il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, è l’ennesima conferma della guerra senza regole condotta da Israele contro il Libano. Un’operazione di spionaggio e fuoco preparata da vent’anni di infiltrazioni, pedinamenti, droni e tradimenti. Ma anche un colpo vile che non spegnerà né l’idea, né la lotta, né il popolo che Sayyed Nasrallah ha guidato con fermezza, visione, e dignità.
Nasrallah non era solo un leader. Era il volto della Resistenza. Era la voce che parlava ai dimenticati, il riferimento per chi non si è mai arreso, il simbolo di un movimento che ha saputo coniugare fede, pragmatismo politico e coraggio militare. Il suo assassinio è un crimine, ma sarà ricordato come la scintilla che riaccende l’impegno.
E come non ricordare anche Sayyed Abbas al-Musawi, ucciso con la sua famiglia in un attacco israeliano. O Sayyed Hadi Nasrallah, il figlio del leader caduto giovane in battaglia. O ancora Imad Mughniyeh, il genio militare fatto saltare in aria a Damasco. Una lista lunga, ma mai dimenticata.
Chi piange ancora i “martiri del sud”, chi conserva le foto dei ragazzi che si fecero saltare in aria contro i tank israeliani, oggi non commemora: rinnova una promessa. La promessa che il Libano sarà libero, sovrano, giusto. Con o senza il consenso delle potenze coloniali.
Hezbollah non è solo un esercito. È un’idea. E le idee non si bombardano.