(BRUNO SCAPINI) – A spiegare il genocidio armeno, quale fatto storico in sé, oltre alla necessaria sua commemorazione perché non si dimentichi nell’oblio della Storia, rimane ben poco da aggiungere. Lo si è condannato in tanti modi, a parole come nelle manifestazioni popolari, lo si è deplorato in conferenze e con una copiosa letteratura, abbiamo biasimato i suoi autori, definendo i loro atti come nefandezze, e abbiamo tentato persino di costruirne una immagine che potesse conciliarsi con quella oltremodo odiosa di crimine contro l’Umanità. Ma in questo quadro di universale riprovazione ancora un piccolo tassello risulta mancare, che in realtà proprio piccolo non è: svelare il sospetto che il suo perdurante mancato riconoscimento, sopratutto da parte proprio della Nazione che lo ha commesso, nasconda in fondo il volto di un inganno.
Tanto si è discusso sul piano storico e politico della effettiva natura e portata del “Grande Massacro”. Ci si è addirittura divisi in due schieramenti tra “negazionisti” e non. Si è disquisito con spirito accademico su cosa significasse il termine “genocidio”, fin dove cioè si potesse parlare di un piano premeditato di totale annientamento di un popolo o solo di una sua parziale casuale menomazione. Ma si è anche, circostanza ancor più grave, polemizzato da parte del Paese responsabile del misfatto, che tale però non si ritiene, sulla interpretazione di fatti e di eventi di quel lontano 1915 con un uso spregiudicato e ideologizzato dello scetticismo storiografico. Lo scopo? Quello meschino e vile di trovare nelle pieghe artificiose di sottili differenziazioni una giustificazione al riprovevole operato.
Orbene, non è nell’intendimento di chi scrive lamentare in questa sede ancora una volta il mancato riconoscimento del primo Genocidio del XX secolo da parte dei suoi autori. Né descrivere una sua genealogia sul piano storico. L’intento è ben un altro invece: denunciare il “negazionismo” in sé come un delittuoso atto contro l’Umanità. Non è infatti sufficiente, a fronte dell’inerzia colpevole che ancora osta ad una doverosa riparazione storica da parte della Turchia, condannare il “Grande Massacro” elevandolo al più alto livello di deprecabilità tra i crimini umanitari. Sulla posizione di Ankara c’è ormai troppa assuefazione. Nonostante una crescente mobilitazione di animi e di pensiero che si registrerebbe oggi nel mondo, ancora troppi, purtroppo, sono i Governi che si astengono dal pronunciare chiaramente la fatidica parola “Genocidio” parlando di questo massacro. E non stupisce, in una stretta logica di convenienza politica, scoprire come taluni Paesi, pur dichiarandosi insospettabili campioni delle libertà e dei Diritti Umani, non abbiano ancora trovato il coraggio di opporsi alla fraudolenza di certi concettivismi riduzionistici, spuri e, pertanto, pericolosi.
Non illudiamoci! Non sono pochi questi Paesi. Per gettare fumo negli occhi e ostentare un attivismo umanitario ipocrita e quanto mai dannoso non mancano i politici che, sfuggendo alle proprie responsabilità, inducono subdolamente i rispettivi Parlamenti ad adottare mozioni “pro-Genocidio armeno” con le quali si invitano i rispettivi Governi al riconoscimento – vero atto di valenza politica quest’ultimo – salvo poi a rinviare “sine die” il provvedimento in forza di fatti imprevisti, più impellenti, o peggio, per la decadenza di una legislatura! Come qualificare, dunque, un tale atteggiamento? Non dovremmo forse, in uno slancio non tanto di aderenza alla Storia, quanto di fedeltà alla “buona fede” equipararlo all’atto stesso del negazionismo, sebbene opportunamente camuffato, e accertarci che esso stesso venga condannato? La relativizzazione pretestuosa dei parametri con i quali il Genocidio armeno dovrebbe essere oggettivamente considerato e valutato è anch’essa un delitto. E’ il fraudolento tentativo di non voler riconoscere il dato reale come tale, ovvero nel nostro caso come Genocidio. E non sarebbe forse proprio questo un delitto contro l’Umanità? Non è forse la frode, l’atto ingannevole l’essenza di uno dei più antichi principi del “jus gentium” di romana memoria? Justitia, Veritas e Fides già Cicerone esaltava a fondamento di quel “Jus Naturae” dal quale tutti gli ordinamenti positivi ( Jus Civitatis ) avrebbero tratto il fondamento per la regolazione dei rapporti umani ispirandosi alla “Naturalis Ratio”. Realtà valoriali superiori avrebbero pertanto informato le società umane che oggi, come allora, necessitano inevitabilmente di concreti e sani principi per dare certezza ai propri rapporti. Dunque, non deve essere un’aspirazione ideale ammettere e riconoscere i predetti valori derivati da una antica e provata “Lex Naturae”. Sono principi già presenti nei nostri moderni ordinamenti. E probabilmente andranno soltanto riscoperti. Sì, riscoperti e dichiarati, per restituire finalmente giustizia e dignità alle tante vittime armene di uno dei più deprecabili crimini contro l’Umanità.