Un’esecuzione ogni due giorni, almeno 175 condannati a morte giustiziati tra l’agosto del 2014 e il giugno del 2015. Sono i dati disponibili sull’applicazione della pena capitale in Arabia Saudita contenuti in un rapporto diffuso da Amnesty International. Secondo l’ong Nessuno Tocchi Caino, nei primi otto mesi dell’anno sono 114 le pene capitale eseguite nel Regno, almeno 90 nel 2014.
Amnesty denuncia inoltre che una notevole percentuale delle condanne a morte, il 28 per cento dal 1991, ha riguardato reati di droga. Tra gli altri reati punibili con la pena capitale in Arabia Saudita, in base a una rigida applicazione della sharia, vi sono l’omicidio, lo stupro, la rapina a mano armata, il sabotaggio, l’adulterio, la sodomia, l’omosessualità, la stregoneria e l’apostasia.
Il 48,5 per cento delle persone condannate a morte dal 1985 erano cittadini stranieri. Molti di essi, durante il processo, erano stati privati di servizi adeguati d’interpretariato e costretti a firmare documenti, comprese le confessioni, di cui non avevano compreso il contenuto, si legge nel rapporto di Amnesty ‘Uccidere in nome della giustizia: la pena di morte in Arabia Saudità. Le condanne a morte sono eseguite tramite decapitazione, salvo alcuni casi in cui viene usato il plotone d’esecuzione. In determinate circostanze le esecuzioni avvengono in pubblico.
A esecuzione avvenuta, i cadaveri con le teste mozzate vengono lasciati esposti. Spesso le famiglie dei prigionieri non vengono informate dell’imminente esecuzione e vengono a saperlo solo dopo, talvolta attraverso notizie di stampa.