Il tripudio di Mario Calabresi e l’inno alla santificazione di Cecilia Sala


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(Raimondo Schiavone) – È davvero inevitabile, in questi giorni, assistere al tripudio mediatico di Mario Calabresi, direttore di spicco, che sembra aver deciso di fare del “Caso Sala” la sua personale crociata giornalistica. Calabresi, da sempre vissuto all’ombra delle sue vicende personali e avvolto in una narrazione marcatamente filo-sionista, ha trovato il suo momento di gloria cavalcando l’onda emotiva legata alla giovane giornalista senza laurea, ma ben posizionata politicamente.

La storia di Calabresi è nota e merita rispetto: il padre, commissario Luigi Calabresi, è stato vittima di un assassinio ingiusto e brutale. Una tragedia che non può e non deve essere dimenticata. Ma da qui a trasformare ogni spazio editoriale e televisivo in un’apologia della “povera Cecilia” ce ne passa. È ormai evidente come Calabresi tenda a perdonare sempre, con grande magnanimità, le azioni di figure ben più controverse come Benjamin Netanyahu, leader israeliano accusato di crimini che molti nel mondo definirebbero come genocidio.

Il tono paternalistico e marcatamente filo-sionista di Calabresi inizia a risultare fastidioso, persino irritante. Certo, c’è un pubblico di perbenisti a cui queste narrazioni piacciono, ma bisogna ammettere che quella categoria è ormai in netta diminuzione. Gli spettatori e i lettori cominciano a essere stanchi di vedere la narrazione concentrata su storie confezionate ad arte per esaltare personaggi come Sala, quando ci sono tragedie ben più gravi che passano sotto silenzio.

Mentre si dedicano intere trasmissioni alla santificazione di Cecilia Sala, con Calabresi in prima fila a intonare lodi, altre storie di vera sofferenza e ingiustizia vengono ignorate. I bambini senza casa a Gaza, i medici scomparsi o torturati, le famiglie distrutte dai bombardamenti non hanno diritto a prime pagine o speciali televisivi. Non sono utili alla narrazione di Calabresi e della sua scuola di pensiero.

Siamo sempre dalla parte di chi ha tragicamente perso la vita, come il padre di Calabresi. Ma non possiamo tacere davanti a questa ossessiva concentrazione su figure che, pur meritevoli di rispetto, non rappresentano il centro di un mondo in cui sofferenze ben più grandi vengono sistematicamente ignorate. È ora di smettere di applaudire il teatrino del “tripudio Calabresi” e di iniziare a guardare oltre il velo della retorica.

 

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