Ilaria Alpi: una giornalista in cerca della verità. L’omicidio, l’inchiesta e i depistaggi


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Il 20 marzo 1994, a Mogadiscio, Somalia, vennero brutalmente assassinati la giornalista italiana Ilaria Alpi e il cineoperatore Miran Hrovatin. A distanza di 31 anni, la loro morte resta uno dei più grandi misteri irrisolti del giornalismo italiano e della giustizia italiana. Erano lì per scoprire la verità, per raccontare storie di traffici illeciti, corruzione e connivenze internazionali che vedevano coinvolte personalità potenti. Il loro assassinio fu un messaggio chiaro: alcune verità non dovevano emergere.

Chi era Ilaria Alpi?

Ilaria Alpi nacque a Roma il 24 maggio 1961. Dopo il diploma al Liceo Classico Tito Lucrezio Caro, si iscrisse all’Università La Sapienza, dove si laureò in Lingue e Letterature Straniere, specializzandosi in arabo. Questa competenza le consentì di lavorare come corrispondente per diverse testate, tra cui Paese Sera e L’Unità, in Medio Oriente.

Nel 1990, entrò alla Rai, vincendo un concorso per giornalisti. Divenne inviata del TG3, concentrandosi su temi di politica internazionale, guerre e crisi umanitarie. Seguì il conflitto in Libano, la prima Guerra del Golfo e la missione ONU in Somalia. Il suo giornalismo si distingueva per il suo rigore, la capacità di approfondimento e la volontà di scavare oltre la superficie.

Il contesto della Somalia e la missione di Ilaria Alpi

Negli anni ’90, la Somalia era un Paese devastato dalla guerra civile. Nel dicembre 1992, gli Stati Uniti e l’ONU lanciarono l’operazione Restore Hope, ufficialmente per garantire aiuti umanitari e stabilizzare il Paese. Ma dietro questa missione si celavano interessi geopolitici e traffici illeciti.

Ilaria Alpi si recò in Somalia per la prima volta nel 1992 e vi tornò più volte fino al marzo 1994, quando, insieme a Miran Hrovatin, iniziò a indagare su traffici di armi e rifiuti tossici tra l’Italia e la Somalia.

L’inchiesta in Somalia: traffici di armi e rifiuti tossici

Secondo le ricostruzioni, Ilaria Alpi si stava avvicinando a verità scomode: il traffico di armi e lo smaltimento illegale di rifiuti tossici in Somalia, con il coinvolgimento di imprese italiane, criminalità organizzata e governi.

Diversi documenti e testimonianze confermano che navi cariche di rifiuti tossici partivano dall’Italia e raggiungevano le coste somale, dove venivano smaltiti illegalmente. In cambio, la Somalia riceveva forniture di armi, alimentando il conflitto civile.

Uno dei nodi centrali dell’inchiesta riguardava la società italo-somala Shifco, che operava nel settore della pesca ma che, secondo alcune fonti, avrebbe funto da copertura per traffici illeciti.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin avevano raccolto prove, filmati e interviste. Poco prima della loro morte, erano stati a Bosaso, nel nord della Somalia, dove avevano intervistato il sultano locale, Abdullahi Moussa Bogor. Durante l’intervista, emergono dettagli sui legami tra funzionari italiani e il regime di Siad Barre e sulla gestione opaca degli aiuti umanitari.

L’omicidio a Mogadiscio

Il 20 marzo 1994, alle 15:30, mentre rientravano in auto nel centro di Mogadiscio, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono assassinati. L’agguato avvenne nei pressi dell’ambasciata italiana. Un commando armato bloccò l’auto e aprì il fuoco, uccidendo entrambi con colpi alla testa.

Le circostanze dell’omicidio suggeriscono un’esecuzione premeditata. Non furono sottratti né la videocamera né altri effetti personali. Questo esclude l’ipotesi della rapina e rafforza quella di un delitto mirato per insabbiare le loro indagini.

Le indagini: depistaggi e verità negate

Le indagini italiane furono sin dall’inizio piene di incongruenze e depistaggi:

  • L’autopsia sui corpi venne eseguita con gravi irregolarità.
  • Il taccuino di Ilaria Alpi con gli appunti più recenti sparì misteriosamente.
  • La videocassetta girata da Hrovatin nelle ore precedenti la loro morte non fu mai ritrovata.

Nel 2000, il cittadino somalo Hashi Omar Hassan venne condannato a 26 anni di reclusione, accusato di essere l’autista del commando. Tuttavia, nel 2016, Hassan fu assolto perché le prove contro di lui erano state manipolate. Aveva scontato 17 anni di carcere da innocente.

Dopo la scarcerazione di Hassan, non esiste più alcun colpevole ufficiale per l’omicidio Alpi-Hrovatin. I mandanti e gli esecutori rimangono sconosciuti, nonostante l’impegno della famiglia Alpi e del Comitato per la verità.

Chi era Miran Hrovatin?

Miran Hrovatin era un cineoperatore nato a Trieste nel 1949. Faceva parte della comunità slovena in Italia e lavorò per agenzie internazionali prima di collaborare con la Rai. Con il suo stile essenziale e diretto, raccontava scenari di guerra e crisi umanitarie.

Hrovatin aveva documentato la guerra nei Balcani prima di seguire Ilaria Alpi in Somalia. Era un professionista discreto e meticoloso, il cui obiettivo era sempre raccontare la verità attraverso le immagini. Il suo contributo è stato fondamentale per le inchieste della giornalista.

Le richieste di giustizia e le verità ancora nascoste

Per 31 anni, i genitori di Ilaria Alpi, Giorgio e Luciana, si sono battuti per la verità, chiedendo una Commissione d’inchiesta parlamentare e denunciando i continui insabbiamenti.

Nel 2017, il Parlamento italiano ha archiviato l’inchiesta, sostenendo che non vi erano più elementi sufficienti per proseguire le indagini. Tuttavia, numerosi giornalisti e attivisti sostengono che documenti fondamentali siano ancora secretati.

L’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin rimane una delle pagine più oscure della storia del giornalismo italiano. La loro morte è un monito sulla libertà di stampa e sui rischi che corrono i giornalisti d’inchiesta. Il loro lavoro, interrotto violentemente, rappresenta un esempio di integrità e coraggio. Oggi, a 31 anni dalla loro scomparsa, il loro ricordo vive attraverso premi giornalistici, libri e documentari, ma soprattutto nella battaglia per la verità. “Non c’è libertà senza verità”, diceva Ilaria. Una frase che continua a riecheggiare come un monito per tutti coloro che credono nella giustizia e nell’importanza del giornalismo d’inchiesta.


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