La geopolitica dell’intelligenza artificiale si sta rapidamente cristallizzando in una nuova frontiera del potere globale, non più limitata a profitti economici ma strettamente intrecciata con le dinamiche di sovranità, sicurezza e cooperazione multilaterale: il controllo delle risorse digitali si traduce sempre più in leva strategica internazionale. Il recente rapporto dell’OECD, Governing with Artificial Intelligence – The State of Play and Way Forward in Core Government Functions, mette in luce come molti governi stiano già usando IA per automatizzare servizi pubblici, rilevare frodi e migliorare la qualità delle decisioni politiche, ma ammonisce anche sui rischi di trasparenza, affidabilità e disuguaglianze digitali.
Gli squilibri di potere emergono quando si osserva la distribuzione geografica e tecnologica: Stati Uniti, Cina ed Europa adottano modelli di governance profondamente diversi. Gli Usa privilegiano un approccio flessibile e decentrato, favorendo l’innovazione rapida a costo di un quadro regolatorio frammentato; la Cina, invece, punta su una strategia centralizzata dove lo Stato guida sia sviluppo che applicazioni, con rapide implementazioni nei settori industriali e pubblici. Una recente analisi mostra che, mentre l’Europa privilegia trasparenza e valutazioni di rischio, la Cina accelera l’adozione su vasta scala anche se con margini di supervisione esterna ridotti.
Su questo sfondo, la governance internazionale dell’IA appare strutturalmente fragile. Nel 2025 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha infatti istituito due meccanismi chiave: un Panel Scientifico Internazionale Indipendente sull’IA e un Global Dialogue sulla governance dell’IA, con il mandato di produrre rapporti annuali su rischi, trasparenza e interoperabilità normativa. Questo dialogo non ha potere normativo vincolante, ma potrebbe gettare le fondamenta di una futura convenzione internazionale, come proposto anche da analisi strategiche nel contesto del diritto umanitario applicato all’IA.
Le tensioni geopolitiche si manifestano anche nei forum multilaterali: secondo l’IAI (Istituto Affari Internazionali), il G7 ha cercato di rilanciare la cooperazione sull’IA, ma rimangono spaccature sul ruolo delle infrastrutture, l’accessibilità per i paesi a basso reddito e l’imposizione di obblighi etici: per il G7 la sfida è ampliare agenda e ambizione, colmando il divario tecnologico globale.
Da parte sua, la Cina ha proposto la creazione di un organismo globale per la cooperazione sull’IA, denunciando il rischio che lo sviluppo diventi “un gioco esclusivo per pochi Paesi e imprese”. Questo tentativo riflette un paradigma alternativo a quello occidentale: Pechino propone un’architettura multilaterale che valorizzi l’open source, la condivisione dei dati e la cooperazione per nazioni meno sviluppate.
L’assenza di armonia nella regolazione globale è evidenziata da studi accademici: per esempio, un contributo recente propone un modello “3C” — contestuale, coerente, commensurabile — che distingue tra fasi del ciclo di vita dell’IA (apprendimento vs applicazione) e tipologie di sistemi (generativi, discriminativi, autonomi), al fine di costruire standard internazionali misurabili e comparabili. Altri ricercatori, invece, invitano a un paradigma “governance adattativa” che combini oversight graduato, acceleratori di innovazione e meccanismi per l’allineamento strategico tra regioni diverse.
Dal punto di vista operativo, gli Stati e le istituzioni internazionali si trovano di fronte a un nodo cruciale: come promuovere l’adozione sicura dell’IA senza frammentare il mercato globale? Le risposte possibili includono la definizione di standard condivisi con obblighi minimi di audit; il rafforzamento di infrastrutture strategiche (data center, supercomputer) in aree geografiche diversificate; e lo sviluppo di programmi di capacity-building che portino know-how e calcolo anche nei paesi meno avanzati.
I rischi sistemici sono concreti: l’uso militare di IA, se non regolato, può generare escalation autonome; l’eccessiva automazione decisionale può minare la fiducia nelle istituzioni; la sorveglianza algoritmica può consolidare strutture autoritarie; e la disuguaglianza tecnologica rischia di aggravare il divario tra Nord e Sud globale. Libertà, sovranità e solidarietà sono quindi tutte in gioco.
In definiva si può affermare come la geopolitica dell’IA non si limiti solo ed esclusivamente a una competizione tecnologica, ma rappresenti una ristrutturazione profonda dei rapporti internazionali: una sfida che chiama in causa non solo le capacità industriali e di innovazione, ma anche i valori normativi condivisi e la cooperazione multilaterale. Se non si costruisce un’architettura di governance inclusiva e sostenibile, il rischio è che l’IA diventi un moltiplicatore di disuguaglianza e instabilità piuttosto che un motore di progresso comune.



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