L’esercito iracheno da solo «non può farcela» ad affrontare i jihadisti del sedicente Stato islamico (Is) e il contributo delle milizie sciite è quindi «necessario». Lo spiega l’ambasciatore iracheno a Roma, Saywan Barzani, commentando le critiche al ruolo preponderante che le milizie avrebbero assunto nella guerra contro l’Is e le interferenze di Teheran, che controllerebbe queste milizie. «L’Iran – sottolinea l’ambasciatore – è stato il primo paese ad aiutarci quando è arrivato il Daesh», acronimo arabo per l’Is. Quando i jihadisti hanno proclamato il loro califfato, l’esercito iracheno «ha perso molti uomini e mezzi, soprattutto nelle battaglie a Mosul – spiega Barzani – Oggi è un esercito debole, che da solo non può farcela. Per questo i nostri ministri viaggiano in tutti i paesi del mondo, per chiedere aiuti per riarmarci».
Finché questo obiettivo non sarà raggiunto, l’esercito sarà costretto ad appoggiarsi alle milizie, che «sono forze paramilitari sotto il controllo del governo, non schegge impazzite», sottolinea il diplomatico. La pensano diversamente quanti accusano l’esercito di aver ceduto il passo a milizie sciite armate e controllate dall’Iran. «Teheran – commenta Barzani – è stato il primo ad aiutarci con armi e con intelligence. Ha aiutato anche le forze del Kurdistan. Ma dubito che, nella situazione attuale, possa arrivare a esercitare un’influenza maggiore sull’Iraq».
Il ministro degli Interni iraniano, Abdolreza Rahmani-Fazli, ha affermato che se l’Is «si avvicinasse a 40 chilometri dal confine e cercasse di commettere atti di sabotaggio, l’Iran interverrebbe senza dubbio militarmente». Per l’ambasciatore Barzani, «Teheran ha il diritto di difendersi», ma è improbabile che ciò si renda necessario. «I 1.300 km di confine con l’Iran – argomenta il diplomatico curdo – sono controllati per metà dalle forze del Kurdistan e per il resto si tratta di zone a maggioranza sciita. È difficile quindi che il Daesh riesca ad andare oltre i 150 km dal confine, dove si trova ora». Infine l’ambasciatore commenta la campagna lanciata ieri dall’esercito e dalle Unità di mobilitazione popolare (milizie sciite) per la riconquista di Ramadi, finita in mano all’Is 10 giorni fa. «Sono ottimista – dice – credo che la battaglia porterà al successo. Come succedeva già ai tempi di al-Qaeda, la popolazione è contraria alla presenza dei jihadisti e senza dubbio darà tutto il suo supporto».
PIÙ RAID MA PER ORA NO TRUPPE USA DI TERRA – Secondo Barzani, i raid aerei della coalizione internazionale contro l’Is guidata dagli Usa «non bastano», ma per ora il governo iracheno non chiede l’invio di truppe di terra per far fronte ai jihadisti. I raid aerei, quindi, devono rientrare in un quadro di «sostegno continuo e rapido», perché «due o tre raid sporadici non risolvono nulla». Questa è la richiesta che l’Iraq porterà al vertice di Parigi, insieme a quella di «trovare una soluzione alla crisi in Siria», a cui va data priorità assoluta. «La minaccia arriva soprattutto da lì – spiega l’ambasciatore – È la crisi siriana che ha generato il Daesh (acronimo arabo del sedicente Stato islamico, ndr), è quella crisi che destabilizza l’intera regione e mette a rischio anche i paesi occidentali». L’Is ha proclamato il suo califfato a cavallo tra Siria e Iraq 11 mesi fa. Ad agosto è stata creata una coalizione internazionale per fronteggiarlo, ma secondo il curdo Barzani, «finora non si è visto alcun risultato». «Questi criminali sanguinari – ricorda – hanno preso Palmira in Siria, Ramadi in Iraq, hanno creato tre milioni di profughi interni in Iraq. Difendere fasce così ampie di territorio da bande di fanatici arrivati da 42 paesi del mondo non è facile per le nostre forze».
-Ecco perché dalla conferenza di Parigi l’Iraq si aspetta una svolta, «un sostegno vero, che deve essere politico, diplomatico e militare». A proposito del sostegno militare, l’ambasciatore insiste sulla necessità di aiutare l’esercito nazionale e i Peshmerga curdi ad armarsi in modo adeguato e soprattutto di intensificare i raid aerei internazionali contro l’Is. «Per ora – spiega – il governo iracheno non pensa di chiedere l’invio di truppe internazionali di terra. Con il supporto di più raid aerei, pensa di potercela fare» a riconquistare le terre finite sotto il controllo dell’Is, soprattutto nella provincia dell’Anbar. Sul piano geopolitico, secondo Barzani la questione è molto complessa, perché nella regione si combattono tante «guerre su procura», in Siria come in Iraq, in Libia o in Yemen. «Gli Stati Uniti – argomenta – hanno scelto di avere un ruolo più defilato in Medio Oriente, lasciando campo libero a una miriade di attori. Oggi anche lo staterello più piccolo vuole affermare la sua presenza, è capace di portare la guerra in altri paesi per perseguire suoi interessi, che spesso si fa anche fatica a capire quali siano. Assistiamo a un paese che arma un gruppo e a un altro che finanzia il gruppo avverso». In questo senso, la crisi in Siria «non è solo siriana e non può essere solo siriana la sua soluzione». E lo stesso vale per l’Iraq o la Libia. Ecco quindi quale sarà la terza richiesta dell’Iraq alla conferenza di Parigi: «Bisogna – dice l’ambasciatore – fare pressione su quei paesi che armano, addestrano, finanziano con fiumi di dollari, indottrinano o lasciano transitare sul loro territorio i jihadisti del Daesh».