Israele, cresce la tensione sulla leva militare degli ultraortodossi: Netanyahu in bilico


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(Massimo Piras) – In un contesto segnato da una guerra prolungata a Gaza, una crisi economica crescente e un processo per corruzione in corso, il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu si trova ad affrontare un’altra sfida dirompente: la questione della coscrizione obbligatoria per gli ebrei ultraortodossi.

Da decenni, un accordo non scritto consente a decine di migliaia di giovani ultraortodossi di evitare il servizio militare obbligatorio, previsto invece per la maggior parte degli uomini e delle donne ebree in Israele. Al loro posto, si dedicano allo studio religioso nei seminari, le yeshivot. Questo compromesso, nato al tempo della fondazione dello Stato con il coinvolgimento del primo premier David Ben Gurion, oggi coinvolge circa 66.000 giovani. Il peso crescente di queste esenzioni ha trasformato una concessione marginale in una delle questioni più divisive del Paese.

La guerra a Gaza ha acuito il malcontento. Con oltre 870 soldati israeliani morti in combattimento e migliaia di riservisti richiamati più volte al fronte, l’opinione pubblica ha cominciato a esigere un’equa distribuzione del dovere militare. Per molti, la preghiera e lo studio non bastano a giustificare l’esclusione dalla leva in tempo di guerra.

Nel 2023, l’Alta Corte israeliana ha stabilito che anche gli ultraortodossi devono essere arruolati. Tuttavia, i tentativi dell’esercito di far rispettare il verdetto hanno incontrato resistenze: delle 12.000 convocazioni inviate, solo poche decine si sono concretizzate in effettivi arruolamenti. I partiti ultraortodossi, essenziali per la sopravvivenza politica di Netanyahu, chiedono ora una legge che sancisca l’esenzione in modo definitivo.

Netanyahu si muove su un terreno instabile. I suoi alleati religiosi premono da tempo per una soluzione che preservi i privilegi dei propri elettori, mentre all’interno del suo stesso partito cresce la richiesta di riforme più eque. L’opposizione ha cercato di capitalizzare il malcontento diffuso sia tra i laici che tra gli ultraortodossi delusi, puntando a nuove elezioni.

Il disegno di legge promosso dall’opposizione per sciogliere la Knesset, nato dalle tensioni nella coalizione di governo su una bozza di legge per la coscrizione obbligatoria per gli ultraortodossi è stato bocciato: la mozione ha ottenuto 61 voti contrari e 53 favorevoli, “garantendo alla coalizione del premier Benjamin Netanyahu almeno un’altra settimana di sopravvivenza politica”.

La resa dei conti sembra solo rinviata: la frattura tra religiosi e laici, e tra fedeltà politica e istanze popolari, continua a minare la stabilità di un governo già sotto pressione.


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