La caduta di Assad e il rischio di un nuovo Emirato islamico del Mediterraneo


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(Raimondo Schiavone) – La caduta del Presidente siriano Bashar al-Assad, lasciando vacante uno dei posti di potere più delicati del Medioriente, non fa certamente presagire un futuro prossimo luminoso.  Tra qualche mese, realizzeremo quanto fosse importante Bashar Al Assad in Siria e quale ruolo determinante il suo governo svolgesse nell’equilibrio politico di quell’area geografica, soprattutto nel garantire la protezione delle minoranze religiose e politiche in quei territori.

Del resto siamo abituati ai rimpianti.

La stesso è accaduto quando la maggior parte dei media e dei politici occidentali hanno gridato con euforia alla liberazione della Libia dal “macellaio” Gheddafi. Anche allora non avevano calcolato con attenzione le possibili conseguenze.

La Libia è diventata il più grande campo di concentramento per esseri umani destinati all’esportazione in Europa. Ed ancora oggi è divisa da bande e tribù che si combattono per un barile di petrolio.

La situazione in Siria potrebbe essere ancora peggiore. La Siria non è la Libia; è sempre stata una nazione di grande tradizione politica, governata dal partito del Risorgimento Arabo Socialista, il Partito Baʿth Arabo Socialista, o più semplicemente Baʿth.

Un partito politico panarabo, fondato nel secondo dopoguerra dai siriani Michel ʿAflaq e Ṣalāḥ al-Dīn al-Bīṭār.

Un Paese che è riuscito negli anni a garantire la libertà delle donne, la partecipazione delle stesse alla vita politico istituzionale del Paese, che ha garantito la coesistenza a tutte le confessioni religiose presenti nel suo territorio. In particolare alle minoranze sciite e cristiane.

Facile oggi raccontare del pugno forte di Hafiz al-Asad padre di Bashar. La sua vita politica, da inquadrare nel suo tempo, è stata senza dubbio discutibile, ma va letta in un contesto storico che è quello del dopo guerra, della contrapposizione per blocchi politici, dell’affermazione di Israele nell’area e della rivoluzione islamica in Iran. Letta in quel contesto la storia ha un altro sapore. Una storia anche di repressione, ma che non si può confondere con quella del figlio Bashar. Che per la Siria è stato l’uomo delle riforme, soprattutto di quella agraria per la quale era amato dalla parte più rurale del Paese.

Bashar Al Assad ha rappresentato il riformatore ideale per la l’avvio della modernizzazione del Paese.

Durante il suo mandato, ha portato avanti una serie di riforme, volte a liberalizzare l’economia siriana. Queste includevano la promozione del settore privato, la riduzione delle restrizioni sulle importazioni e l’attrazione di investimenti stranieri.

Inoltre, ha proceduto con l’aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici e dei militari, che sono quasi raddoppiati, e delle pensioni.

È difficile, per esempio, non notare che in quello che i media occidentali hanno sempre definito un regime dittatoriale, venisse consentito a tutte le confessioni religiose di far parte del parlamento. Così come è difficile non notare che nel 2017, sempre nello stesso “regime dittatoriale”, per la seconda volta nella storia della Siria moderna, in un Paese a maggioranza musulmana, un cristiano è stato eletto presidente del parlamento.

Riguardo a ciò che accadrà, anche senza la sfera di cristallo, il destino della Siria appare ormai segnato. Non sarà più un Paese unito e autonomo. Sarà per lunghi anni luogo di battaglie fra fazioni, spalleggiate in primis dalla Turchia, che eserciterà un ruolo forte di influenza strategica sul territorio, utilizzando le milizie jaidiste. Da Israele che tenterà di creare un argine alla presenza turca e ne approfittera’ per allegare i suoi confini. Dai Curdi che, fra le minoranze presenti nel territorio, sono quella meglio organizzata, che rimpiangeranno il Governo uscente, ma che dovranno continuare a combattere per mantenere in vita la propria presenza. Dalle popolazioni sciite filo Iraqene ed Iraniane che, supportate dal vero sconfitto di questa vicenda politica, l’Iran, tenteranno di difendere i propri villaggi e lavoreranno supportate anche da Hezbollah per destabilizzare l’area. Per non dimenticare le milizie jihadiste supportate da Arabia Saudita da un lato e Quatar dall’altro, che useranno la Siria come fucina per preparare attentati contro l’occidente, come hanno sempre fatto in questo ultimi trenta anni.

Le popolazioni civili saranno le vittime di tutto ciò, i cristiani rimasti dovranno andare via, flussi migratori verso l’Europa saranno la costante per un lungo periodo.

Intanto nel Paese si instaurerà un regime islamista fondato sulla Shari’a, dove le donne saranno costrette a subire quella subdola ed antistorica cultura sunnita jihadista che abbiamo già visto in Afghanistan e non solo.

Chi si è accorto di questo scenario sono gli Stati Uniti, che hanno tentato fino all’ultimo momento di salvaguardate lo status quo, garantendo anche la presenza di Assad. Ma nulla hanno potuto davanti alla prepotenza turca e del suo Rais.

Ed è proprio qui che lo scenario si fa grigio. Se la preponderanza turca diventerà forte sulla Siria, e la sua influenza politica sul nuovo Stato sarà determinante, ci sarà di fatto contatto geografico tra il nuovo impero ottomano e Israele. Sarà questo il.nuovo fronte del conflitto. La Turchia non è certo l’Egitto, è un Paese con un grande esercito ed una forza militare importante che non consentirà allo stato Sionista di espandere ancora il proprio potere sull’area, ma soprattutto che andrà in soccorso dei Fratelli mussulmani di Hamas sconfitti in questa fase dalla azione di genocidio Israeliana.

Sarà una guerra a bassa intensità continua e costante.

Con gli Usa che saranno costretti a continuare il loro supporto strategico e militare ad Israele, ma che di fronte si troveranno un alleato della nata questa volta.

L’unico vero non sconfitto di questa operazione è Putin. Ha ridotto il suo impegno militare nell’area per concentrarsi sul fronte Ucraino ed allo stesso tempo ha il “cane” turco che fa il suo lavoro. Starà a guardare, mettendosi d’accordo con qualche fazione locale per permanere silenziosamente nelle posizioni militari che già detiene, senza spendere energie e senza esporsi in attesa di tempi migliori.

In Siria è morto l’ultimo governo socialista panarabo, ma soprattutto è morta la civiltà.

 

 


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