di Gian Nicola Marras
«potrei raccontarvi in dettaglio ciò che ho visto e sentito in altri Paesi dove questo tipo d’inquisizione imperversa, quando mi sono seduto fra i loro uomini dotti – che quell’onore ebbi- e sono stato ritenuto felice d’esser nato in un tale posto di libertà del pensiero quale supponevano fosse l’Inghilterra, mentre essi stessi null’altro facevano se non lamentare le condizioni servili in cui fra loro il sapere era stato ridotto – e che questo era ciò che aveva spento la gloria dell’ingegno italiano, e che nulla era stato scritto colà ormai da molti anni se non adulazione e banalità».
John Milton. Areopagitica. Discorso per la libertà di stampa. [1644].
La censura digitale pur non avendo dismesso le sue tradizionali vesti sta assumendo nuove forme e modalità. I governi autoritari continuano a ricorrere ai tradizionali filtri preventivi alterando l’originaria natura della Rete. Uno spettacolo che conosciamo da tempo.
La più recente, e probabilmente più pericolosa, minaccia alla libertà di espressione nello spazio della Rete è rappresentata dalle insidie nascoste all’interno delle dichiarazioni di guerra verso le cosiddette “fake news”, le “bufale”.
Nella discussione pubblica online, il dibattito sulla regolamentazione dei social network per il contenimento di questi contenuti sta progressivamente occupando uno spazio importante, sia su scala nazionale che internazionale. La cornice entro la quale si registrano nuove tensioni, è quella dei rapporti diplomatici tra la Federazione Russa e USA. Le imputazioni dell’uscente amministrazione statunitense, sono rivolte verso il Cremlino, indicato come responsabile di presunte “cyberingerenze” nelle elezioni di novembre. A sostegno di questa tesi, le agenzie di intelligence USA, hanno rilasciato un documento di pubblico accesso.[1] Sospendendo ogni giudizio, i lettori possono valutare se gli elementi forniti nel report siano definibili come prove o meno.
Vecchi attriti internazionali mai assopiti, e riacutizzati da ciò che oggi le tecnologie di rete rendono possibile all’interno dei social network: l’estensione dei conflitti geopolitici negli spazi virtuali.
Probabilmente è ancora troppo presto per capire se il tema del fact-checking sia un tema creato ad hoc al fine di distogliere l’attenzione da problematiche sociali più incalzanti. Ad ogni modo, se ne parla e si moltiplicano le dichiarazioni di coloro che hanno indicato le ragioni per il quale oggigiorno esista il bisogno di regolamentare la proliferazione di determinate notizie giudicate come “non attendibili” nello spazio virtuale dei social network: dal patron di Facebook[2], al ministro della Giustizia tedesco[3] e il suo omologo italiano.[4]
Essendo lo spazio virtuale uno spazio di contesa, si formano i diversi schieramenti, i sostenitori della regolamentazione da una parte e i detrattori dall’altra.[5]
Lungi dal voler snocciolare certezze, ma esclusivamente al fine di stimolare riflessioni, ecco un interrogativo: siamo sicuri che la frenesia normativa che anima influenti attori di potere riconducibili all’establishment derivi esclusivamente dal tentativo di contenere l’odio, gli insulti e le offese degli utenti nello spazio digitale dei social?
Logicamente più informazione corrisponde ad un più ampio ventaglio di scelte nella fruizione di contenuti on-line. Confrontare le informazioni provenienti dai media tradizionali, con quelle provenienti dalle galassie grassroots in Rete, consente ai cittadini di affinare l’esercizio critico-comprendente, o se non altro “farsi autonomamente un’idea”.
La pratica del click baiting, “esche da click”, ha da sempre incentivato la produzione di contenuti creati per fini meramente strumentali, da parte di gestori di siti web che per catturare l’attenzione degli utenti e invitandoli a cliccare sui propri contenuti. Spesso si avvalgono dell’utilizzo di titoli sensazionalistici al fine di aumentare le visite di una pagina, generando così proventi dalla pubblicità online.
Per quali ragioni viene ingaggiata la crociata globale contro le fake news?
1) Per contrastare coloro i quali, ricorrendo alla diffusa pratica del click baiting, diffondono notizie false? oppure
2) Per contenere le manifestazioni di odio e hate speech nello spazio dei social network? Probabilmente per nessuna delle due ragioni.
In un’epoca in cui i cittadini per informarsi si affidano sempre di più alla Rete, la disintermediazione amplifica le difficoltà delle élites, nel controllare ogni singolo medium di informazione, mettendo in discussione il canonico potere persuasivo del quale disponevano nella stagione della concentrazione monopolistica della carta stampata e dei media televisivi.
La disillusione verso la politica e verso i media mainstream, spinge i cittadini ad escogitare nuove strategie per interpretare i fatti sociali e politici. Accade così che in caso di elezioni dirette, come nel caso delle presidenziali USA nel novembre 2016, in consultazioni referendarie come la Brexit o il referendum del 4 dicembre 2016 sulla proposta di riforma della Costituzione italiana, divengono occasioni nel quale i cittadini esprimono le loro preferenze di voto in maniera differente rispetto alle indicazioni provenienti dai media mainstream. Dovrebbe quindi esser chiara la ragione per la quale eventuali restrizioni verrebbero viste con favore ed interesse da parte dall’establishment politico e dai mediatori tradizionali.
I media generalisti, dal canto loro, prediligono offrire maggior spazio mediatico alle interpretazioni di fatti sociali e politici conformi alla loro agenda setting. Quelle non conformi vengono marginalizzate. Il panorama informativo “vincente” è quello delle ricostruzioni giornalistiche sbrigative e superficiali, che riducono fortemente il reale livello di complessità delle relazioni internazionali. Anche in questo caso nessuna novità.
Gli adulatori di oggi, diversamente da quelli dei tempi di John Milton e di Galileo, sono attori sociali a caccia di reputation capital, in cerca della “comparsata” televisiva o di maggior visibilità sui social. Opinionisti e politici che per far carriera gravitano in galassie ideologiche affini a quelle dei partiti politici.
Come è stato correttamente evidenziato, evocare l’operato dei poteri pubblici nel controllo dell’informazione (fact-checking) è un’operazione rischiosa per la democrazia.[6]
La censura, strumento naturalmente proprio dei totalitarismi, viene paradossalmente invocata per intervenire in una presunta operazione di salvaguardia della democrazia.
Se per i media tradizionali il rispetto dell’agenda setting si traduce col bisogno di conservare il lavoro e gli orizzonti di carriera, per i cittadini comuni invece il contenimento di fonti di informazione alternativa si concretizzerebbe in autentiche forme di censura.
La riduzione delle fonti di informazione disponibile corrisponde alla messa in silenzio delle opinioni non conformi alla narrazione dei censori tradizionali. Una minaccia per la libertà di stampa.[7]
La Rete è basata sulla disintermediazione, in seguito il Web 2.0 ha fornito ad ogni utente la possibilità di offrire nello spazio della rete contenuti autoprodotti. Imporre un monopolio sulla veridicità delle informazioni online[8], corrisponderebbe ad un restrizione della libertà di opinione. Una sorta di mordacchia virtuale: un’autorità pubblica legalmente autorizzata a colpire le fake news, potrebbe coinvolgere anche pagine che veicolano contenuti provenienti da fonti di informazione alternativa, prodotte da autori che non gravitano nei circuiti politici tradizionali e per questo non allineati alla agenda setting dei grandi networks dell’informazione, che invece timorosi di perdere il loro ruolo di mediatori tradizionali[9], continuano a porsi in difesa degli interessi e dei privilegi dell’establishment elitario.
Le tecnologie sono prodotti umani, è pertanto sono depositarie dei principi morali o amorali chi le ha plasmate. L’architettura informatica dei software in rete contiene e rispecchia l’etica, i principi e le finalità degli ingegneri informatici che li hanno ideati. Per questa ragione gli algoritmi non sono strumenti neutri. La volontà politica dell’establishment atta alla creazione di filtri preventivi mira all’occultamento delle fonti di informazione alternativa, interpretazioni non conciliabili con le vulgate conservative offerte dai media generalisti.
[1] “Assessing Russian Activities and Intentions in Recent US Elections”, 6 gennaio 2017 https://www.dni.gov/files/documents/ICA_2017_01.pdf
[2] Facebook announces new push against fake news after Obama comments https://www.theguardian.com/technology/2016/nov/19/facebook-fake-news-mark-zuckerberg
[3] German courts should go after fake news on Facebook now: minister, 18 dicembre 2016, http://www.reuters.com/article/us-germany-facebook-fake-idUSKBN1470CN
[4] Facebook deve assumersi responsabilità da editore: è un tema di democrazia, non di tecnologia, Il Foglio, 27 dicembre 2016. http://www.rifarelitalia.it/2016/12/27/andrea-orlando-facebook-democrazia/
[5] a) Engdahl William F. , Foxes Guard Facebook Henhouse, 22 dicembre 2016
http://journal-neo.org/2016/12/22/foxes-guard-facebook-henhouse/
- b) Vivaldelli Roberto, Soros finanzia il sistema “anti-bufale”, 19 dicembre 2016,
[6] Bufale web, Azzariti:“È impensabile e pericoloso ipotizzare sanzioni” http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/e-impensabile-e-pericoloso-ipotizzare-sanzioni/
[7] Paul Ron, War on ‘Fake News’ Part of a War on Free Speech, dicembre 11dicembre 2016. http://ronpaulinstitute.org/archives/featured-articles/2016/december/11/war-on-fake-news-part-of-a-war-on-free-speech/
[8] Neppure l’Autorità della Veridicità può fermare il mercato delle bufale, 7 Gennaio 2017 http://www.ilfoglio.it/cronache/2017/01/07/news/bufale-fake-news–gli-errori-del-presidente-pitruzzella-sul-controllo-del-web-113569/
[9] Due esempi di “giornalismo conservativo” veicolati nello spazio della Rete:
- a) http://www.agi.it/blog-italia/marco-pratellesi/2016/12/21/news/_facebook_google_le_fake_news_e_la_scelta_della_qualit-1326390/?utm_source=facebook.com&utm_medium=Agi&utm_campaign=AGI
- b) http://www.agi.it/blog-italia/marco-pratellesi/2017/01/03/news/mentana_e_le_fake_news_perch_importante_difendere_lanonimato-1344972/?utm_source=twitter.com&utm_medium=Agi&utm_campaign=AGI