(Anna Maria Brancato) – A poco più di cinque mesi di distanza dall’ultima operazione israeliana a Gaza, le continue tensioni e l’incapacità dei due maggiori partiti palestinesi (Fatah e Hamas) di ritrovare dei punti in comune per un governo di unità nazionale hanno riportato a galla l’ipotesi di elezioni all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese .
Attualmente, infatti, sia la carica del Presidente Abu Mazen che quella del Primo Ministro Rami al-Hamdallah non sarebbero legittimate a continuare il loro lavoro, essendo il loro mandato scaduto orami da diversi anni.
Le elezioni presidenziali e del Consiglio, infatti, si sarebbero dovute svolgere in maniera congiunta entro il mese di ottobre dello scorso anno, ma in realtà non hanno ancora visto attuazione e questo, probabilmente, per due ragioni: innanzitutto, la perdita del sostegno popolare e della credibilità di Abu Mazen e della ANP in generale, percepiti ormai come troppo invischiati con le forze d’occupazione e con gli strapoteri internazionali a scapito delle condizioni del popolo palestinese; in secondo luogo, il mancato accordo fra le parti sul sistema elettorale da utilizzare.
Si può ben intuire la difficoltà di svolgere delle elezioni politiche all’interno di uno “Stato palestinese” diviso tra Cisgiordania e Gaza con un sistema elettorale che dovrebbe mirare alla piena rappresentanza dei cittadini e che, invece, si scontra duramente con gli interessi di tutte le forze politiche in campo (locali e internazionali).
Riemerge così sotterraneo anche il “tam – tam” dei nomi papabili, in uno scenario politico che si fa sempre più intricato, tra nuovi accordi e vecchie personalità.
Riguadagna, infatti, visibilità proprio Mohammad Dahlan ex leader di Fatah a Gaza.
La carriera politica di Dahlan non è tra le più pure, accusato di corruzione ed espulso dal suo stesso partito con l’accusa di essere tra i responsabili dell’omicidio di Arafat, nel 2004.
Dopo la firma degli Accordi di Oslo del ’93 viene posto a capo dei Servizi di Sicurezza dell’ANP e questo lo ha reso un importante interlocutore della CIA e dei Servizi di Sicurezza israeliani.
E’ stato più volte accusato di aver torturato alcuni membri di Hamas durante il suo mandato nei Servizi di Sicurezza; tuttavia il suo obiettivo principale era la carica di Ministro degli Interni, alla quale ha dovuto rinunciare accontentandosi nel 2003 di quella di Ministro della Sicurezza palestinese, prima di essere sollevato anche da questo ruolo.
Diverse fonti giornalistiche hanno affermato che, dopo le elezioni nella Striscia di Gaza nel 2006, gli Stati Uniti fornirono armi e denaro a Dahlan per portare avanti un colpo di stato contro il governo Hamas democraticamente eletto. Non sorprende, dunque, che anche l’amministrazione Bush a suo tempo fece pressioni sull’ANP di Abbas affinché affidasse a Dahlan la carica di Vice Presidente dell’ANP.
Personaggio a dir poco controverso e ambiguo anche nelle relazioni internazionali, Dahlan pare aver ottenuto nel 2012 la cittadinanza montenegrina. Ed è notizia del mese scorso che anche la Serbia si sia prodigata per adottare l’ex capo della Sicurezza Palestinese e alcuni dei suoi più fedeli sostenitori, tra i quali i figli e i nipoti.
Fonti serbe, come la BIRN, Balkan Investigative Reporting Network affermano la “straordinarietà” dell’evento, sottolineando il fatto che il governo serbo si riserva la facoltà di concedere la cittadinanza a “stranieri che hanno servito gli interessi dello Stato”, senza dover dare spiegazioni pubbliche.
Spiegazioni che infatti si fanno ancora attendere, anche se gli analisti parlano di un grande riconoscimento e un segno di gratitudine della Serbia nei confronti del palestinese.
Gli interessi di Dahlan nei Balcani risalgono al 2006 e sono legati alla nascita di alcune imprese di costruzioni avviate insieme a suo fratello e suoi nipoti; è stato poi accreditato come un facilitatore di un investimento di milioni di euro provenienti da Abu Dhabi e diretti proprio in Serbia.
La mossa serba potrebbe servire all’ex membro di Fatah per rilanciare la sua sfida elettorale contro Abu Mazen e a fornirgli piena libertà di movimento in Europa per i suoi contatti europei, americani e israeliani.
A dare una spinta alla candidatura di Dahlan come diretto successore di Abu Mazen pare esserci anche l’appoggio di alcuni membri di Hamas che vorrebbero utilizzare la sua figura per puro calcolo politico più che per senso di riconciliazione della comunità palestinese.
In attesa di prossime elezioni dell’ANP, restano sicuramente l’incognita della posizione serba e la nebulosa previsione di un’era post Abu Mazen.
Saranno ancora i poteri forti a scegliere o il popolo palestinese riuscirà democraticamente dire la sua?