Domenica 19 ottobre sono uscita dalla tenda della mia famiglia ad Az-Zawayda, nel centro della Striscia di Gaza, e mi sono diretta al vicino Twix Café, uno spazio di coworking per freelance e studenti. Erano passati dieci giorni dall’annuncio del “cessate il fuoco” e ho pensato che finalmente potessi uscire in sicurezza. Avventurarmi fuori avrebbe dovuto essere un passo verso la riconquista di una piccola parte della mia vecchia vita.
Mio fratello e io eravamo quasi arrivati al bar quando abbiamo sentito un suono fin troppo familiare: il boato di un’esplosione. Un drone israeliano aveva colpito l’ingresso del Twix Café. Mi sono paralizzata. Ho pensato: “Ecco, è il mio turno. Non sopravvivrò a questa guerra”.
Tre persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite. Se mio fratello e io fossimo usciti dalla tenda qualche minuto prima, avremmo potuto essere tra le vittime.
Quando la notizia si è diffusa, la mia famiglia è andata nel panico e ha iniziato a chiamarci senza sosta. Il segnale era debole e i loro tentativi fallivano. Siamo riusciti a rassicurare nostra madre solo quando siamo tornati alla tenda.
Mi sono chiesta: che tipo di “cessate il fuoco” è questo? Ho provato più rabbia che paura.
Quando l’accordo è entrato in vigore e i leader stranieri ci hanno detto che la guerra era finita, molti di noi hanno osato sperare. Pensavamo che le esplosioni sarebbero finalmente cessate e che avremmo potuto cominciare a ricostruire le nostre vite distrutte senza paura.
Ma sotto l’occupazione israeliana non c’è speranza. La violenza non finisce mai davvero. Quel giorno, mentre l’esercito israeliano bombardava il Twix Café, ha colpito anche decine di altri luoghi nella Striscia di Gaza, uccidendo almeno 45 persone e ferendone molte altre. È stato il giorno più sanguinoso dall’entrata in vigore del cessate il fuoco. Non è passato giorno senza vittime: Israele continua a uccidere ogni giorno. Ad oggi, più di 100 palestinesi sono stati assassinati da quando è stato annunciato il cosiddetto cessate il fuoco.
Tra loro c’erano 11 membri della famiglia Abu Shaaban. Il massacro è avvenuto il 18 ottobre, il giorno prima dei bombardamenti di massa. Gli Abu Shaaban stavano cercando di tornare a casa, nel quartiere di Zeitoun a Gaza City, a bordo di un veicolo. Una bomba israeliana ha ucciso quattro adulti — Sufian, Samar, Ihab e Randa — e sette bambini: Karam, 10 anni; Anas, 8; Nesma, 12; Nasser, 13; Jumana, 10; Ibrahim, 6; e Mohammed, 5. Questo è ciò che Israele chiama un “cessate il fuoco”.
Con l’inizio dei bombardamenti di massa, panico e insicurezza si sono diffusi in tutta la Striscia. Mentre le esplosioni si susseguivano, la gente si è precipitata nei mercati per procurarsi tutto il cibo che poteva permettersi, in vista della ripresa della guerra e della fame.
È stato straziante vedere come, in mezzo alle bombe, la mente delle persone si concentrasse automaticamente sul cibo. Sembra che abbiamo perso per sempre la sensazione di sicurezza, la certezza che domani avremo qualcosa in tavola.
E sì, siamo ancora costretti a comprare il nostro cibo, perché Israele non solo viola il “cessate il fuoco” bombardandoci, ma trattiene anche gli aiuti che ha promesso. Almeno 600 camion di aiuti avrebbero dovuto entrare a Gaza ogni giorno. Secondo il Gaza Media Office, dall’11 ottobre, data di entrata in vigore del cessate il fuoco, sono entrati solo 986 camion di aiuti: appena il 15% di quanto promesso. Il Programma Alimentare Mondiale (WFP) riferisce che solo 530 dei suoi camion hanno ottenuto l’autorizzazione a entrare. L’UNRWA ne ha 6.000 in attesa: nessuno è stato autorizzato.
Ieri il portavoce del WFP ha dichiarato che nessun grande convoglio di aiuti è entrato a Gaza City: Israele non ha ancora concesso all’agenzia il permesso di utilizzare la via Salah al-Din. La politica israeliana di affamare il nord di Gaza è ancora in vigore.
Il valico di Rafah con l’Egitto — il nostro unico sbocco sul resto del mondo — rimane chiuso. Non sappiamo quando riaprirà; quando le migliaia di feriti potranno attraversare per cure urgenti; quando gli studenti potranno partire per proseguire gli studi; quando le famiglie, lacerate dalla guerra, saranno riunite; quando chi ama Gaza — chi ha aspettato così a lungo per tornare a casa — potrà finalmente rientrare.
È ormai chiaro che Israele sta trattando questo “cessate il fuoco” come un interruttore da azionare a piacimento. Domenica siamo tornati ai bombardamenti massicci; lunedì era di nuovo “cessate il fuoco”. Come se nulla fosse accaduto, come se 45 persone non fossero state massacrate, come se nessuna casa fosse stata distrutta e nessuna famiglia dilaniata. È devastante vedere le nostre vite trattate come se non contassero nulla. È straziante sapere che Israele può riprendere gli omicidi di massa quando vuole, senza preavviso e senza scuse. Questo cessate il fuoco non è altro che una pausa in quella che ormai temiamo sia una guerra senza fine: un momento di silenzio che può spezzarsi in qualsiasi istante. Resteremo in balia di un occupante assassino finché il mondo non riconoscerà finalmente il nostro diritto alla vita e non adotterà misure concrete per garantirlo. Fino ad allora, resteremo numeri nei titoli dei giornali sull’infinita catena di uccisioni di Israele.
Sara Awad – Scrittrice palestinese residente a Gaza
Sara Awad è una studentessa di letteratura inglese, scrittrice e narratrice che vive a Gaza. Appassionata di raccontare esperienze umane e questioni sociali, usa le parole per far luce su storie spesso inascoltate. Il suo lavoro esplora temi di resilienza, identità e speranza in tempo di guerra.



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