(Francesco Gori) – Il premier turco Ahmet Davutoglu ha proposto all’Iraq l’aiuto militare del suo Paese nella lotta contro le milizie jihadiste dello Stato Islamico. Un’offerta che, secondo gli osservatori, rappresenta un riavvicinamento tra Ankara e Baghdad. Davutoglu ha chiarito che questa assistenza potrebbe riguardare la fornitura di armi e l’addestramento dei componenti della Guardia nazionale irachena.
Le forze volontarie irachene “necessitano di addestramento e noi potremmo discutere dell’addestramento di queste forze nella vicina Turchia”, ha aggiunto il premier di Baghdad. Che ha inoltre affermato di aver concordato con Davutoglu una visita il mese prossimo in Turchia, dove alcune zone confinano con quelle in Siria di cui l’Isis ha assunto il controllo.
Soltanto ventiquattro ore prima, nel corso di un’intervista televisiva, Davutoglu aveva affermato che l’esclusione della comunità sunnita dalla vita politica irachena avesse aperto le porte allo Stato Islamico nel Paese, soprattutto dopo il ritiro delle forze Usa nel 2011”. Il premier turco aveva inoltre sottolineato come il governo centrale di Baghdad avesse perso il controllo di circa il 35-40 per cento del suo territorio per l’avanzata dell’Isisi nel Paese da giugno.
Il premier turco ha ribadito che Ankara sostiene un Iraq dove tutte le sue componenti siano rappresentate. ”Ecco perché siamo soddisfatti dell’accordo tra Erbil e Baghdad dopo che il primo ministro curdo Nachirvan Barzani è stato in Turchia”. Il riferimento è all’accordo raggiunto venerdì tra Iraq e Kurdistan sulla vendita del petrolio curdo.
La missione in Iraq del primo ministro turco segue quella in Turchia del ministro degli Esteri iracheno Ibrahim al Jaafari, a inizio novembre, finalizzata a migliore i rapporti tra Baghdad e Ankara. Rapporti che la decisione della Turchia di acquistare petrolio dalla regione autonoma del Kurdistan iracheno, di fatto bypassando Baghdad, aveva incrinato, visto che le autorità federali irachene considerano illegali queste vendite di greggio.
In questi mesi la Turchia è stata accusata da più parti di non avere alcuna intenzione di combattere contro lo Stato Islamico, al quale avrebbe fornito armi, sostegno economico, attraverso l’acquisto del petrolio, addestramento e cure per i miliziani. Nelle più importanti banche turche ci sarebbero inoltre i depositi e i conti correnti di molti uomini d’affari legati ad Isis, se non addirittura quelli dei suoi capi. Una notizia che Ankara ha sempre smentito. La Turchia si è inoltre sempre rifiutata di concedere agli Stati Uniti la base di Incirlik perché gli americani potessero aiutare i curdi a non far capitolare Kobane, al confine turco-siriano.
La strategia di guerra di Ankara è stata criticata anche quando ha deciso di bombardare, nel mese di ottobre, i ribelli curdi del PKK, il partito dei lavoratori curdi di Abdullah Ocalan (leader in carcere dal 1999), che da trent’anni sono in lotta contro la Turchia per ottenere l’indipendenza. Aerei da guerra F-16 e F-4 hanno bombardato obiettivi curdi nella provincia turca di Hakkari, al confine iracheno, nonostante il cessate-il-fuoco che reggeva dal marzo del 2013. L’obiettivo della Turchia sarebbe dunque non la guerra all’ISIS, come dichiarato dal suo primo ministro in Iraq, ma la cacciata di Bashar Assad dalla Siria e l’indebolimento della presenza curda nel territorio turco, la cui indipendenza ed eventuale creazione di uno stato autonomo, denominato Kurdistan, non rientrano nei programmi dell’AKP, il partito politico del presidente turco.