(Alessandro Aramu) – E’ il 26 maggio del 2012: più di 110 civili, tra cui 25 bambini, vengono massacrati a Houla, 200 chilometri a nord di Damasco. Si tratta di una zona composta da quattro piccoli villaggi nella provincia ribelle di Homs. L’opinione pubblica mondiale non ha dubbi: la strage è opera del regime siriano. I media di tutto il mondo parlano di morti causati dai bombardamenti delle forze di Bashar el-Assad. Ad avvalorare la tesi anche il capo della missione degli osservatori Onu, il generale Robert Mood, che, recatosi sul posto dopo le denunce degli attivisti anti-Assad, parla di “una brutale tragedia”.
Il copione è quello di sempre. Nei circuiti dell’informazione internazionale circolano le scontate immagini amatoriali postate su YouTube. Vengono mostrati i cadaveri insanguinati di bambini in un appartamento, uno dei quali è decapitato. Si dice che le uccisioni sono proseguite anche nella notte successiva al massacro e molti abitanti sono fuggiti dal villaggio di Taldau, alle porte di Houla. Rami Abdel Rahman del’Osservatorio per i diritti umani, accusa i Paesi arabi e la comunità internazionale di essere “complici” di queste stragi. Si temono nuovi bombardamenti delle forze di Assad e gli imam, così riferiscono i media, invitano i residenti ad andarsene il prima possibile temendo nuovi attacchi.
Per rendere più credibile la tesi del massacro ad opera di Assad si prende la testimonianza di una donna. Il quotidiano La Stampa riporta la dichiarazione della madre di un tale Kassem. La donna, 45 anni, rivela che il suo unico fratello è stato ucciso dalle forze siriane durante una manifestazione di protesta e afferma: “Intere famiglie sono morte. Il cimitero è pieno di corpi di bambini”. A rincarare la dose arriva anche la posizione del Consiglio nazionale siriano, che invoca una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza Onu per determinare le responsabilità del massacro. ”Alcune vittime sono morte a causa dei bombardamenti di artiglieria mentre altre, tra le quali intere famiglie, sono state massacrate”, afferma Bassma Kosmani, responsabile delle relazioni esterne del Cns. ”Il massacro è stato commesso dalle forze dell’esercito regolare siriano che ha bombardato la città e usato mitragliatrici pesanti per tutta la giornata”, denuncia il Cns. Gli osservatori dell’Onu presenti nel Paese sono stati accusati di essere “rimasti in silenzio” di fronte a quest’ennesima strage.
Sono in pochi che la rappresentanza del Consiglio nazionale siriano (Cns), monopolizzata dai Fratelli musulmani e da personalità di fuoriusciti poco conosciute, è un fronte variegato e litigioso, spesso fiancheggiatrice di un terrorismo sanguinoso e dalla matrice islamica. Ma i nemici dell’Occidente, evidentemente non sono tali se lavorano contro Assad.
A Houla non ci sono giornalisti e le uniche fonti sono quelle dell’opposizione. Le quali fanno sapere che nelle stesse ore ad Aleppo, nel nord, la seconda città del Paese, i blindati di Assad hanno disperso migliaia di persone radunate per i funerali di un ragazzo ucciso a colpi d’arma da fuoco.
Puntuale come un orologio svizzero arriva la dichiarazione del ministro degli Esteri Italiano Giulio Terzi. Che condanna Assad per il massacro e auspica che “siano formulate ulteriori indicazioni sulla strada da percorrere per porre tempestivamente termine ad una situazione che la comunità internazionale non può più accettare”. Una tiepida apertura a quell’intervento armato che qualche settimana più tardi sarà invocato ad esempio dal Presidente francese François Hollande. La condanna internazionale è unanime: “Un crimine orrendo e brutale”, lo definiscono il segretario generale dell’ Onu Ban Ki-moon e l’inviato speciale per la Siria Kofi Annan. Il capo del Foreign Office britannico, William Hague, vuole una “risposta forte” e una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza.
A qualche ora dalla strage emergono dei particolari raccapriccianti. Il Sole24Ore scrive: “L’artiglieria del regime ha martellato venerdì la città di Hula e raso al suolo interi quartieri, poi le forze speciali sono passate casa per casa per «finire il lavoro», con la consueta brutalità. A centinaia sono scappati, incitati anche dagli imam delle moschee, prendendo la via verso il Libano, nel tentativo disperato di trovare una via di fuga oltre frontiera. Certo non per la strada principale dove le truppe di Assad, forse la stessa famigerata Quarta Brigata capeggiata dal fratello minore Maher, aspettano ai posti di blocco i profughi e la guerriglia del Free Syrian Army”.
Sempre il quotidiano economico di Confindustria riporta un’altra notizia: “Anche la presenza dei disertori è controversa: si sono verificati molti casi di infiltrati e ad Hama una mezza brigata di Assad ha finto di unirsi ai rivoltosi per poi prenderli di sorpresa e massacrarli”. La fonte della notizia è ignota. Non essendoci giornalisti sul posto si prende per buona qualsiasi dichiarazione, senza alcuna verifica della fonte. Basta affermare di essere “un oppositore al regime”, di aver visto o assistito a un fatto per diventare credibili.
Fin dalle prime ore dopo il massacro, il regime siriano nega ogni responsabilità per il massacro di Hula e attribuisce la responsabilità ai gruppi terroristici.. “Rifiutiamo totalmente ogni responsabilità governativa per questo massacro terroristico che ha colpito gli abitanti”, dichiara alla tv di Stato il portavoce del ministero degli Esteri di Damasco, Jihad Makdissi, aggiungendo l’apertura di un’inchiesta per fare luce sulla vicenda. Ovviamente nessuno gli crede. Per tutti il massacratore è Assad. Le televisioni e i giornali italiani non fanno eccezioni.
Qualcosa però non torna. Il capo della missione Onu in Siria, il generale Robert Mood, in videocollegamento col Consiglio di sicurezza, fa sapere che le circostanze del massacro di Hula non sono ancora chiare comunque.
Su YouTube vengono caricati i video del massacro che, secondo i media internazionali, sarebbero stati girati e caricati dagli abitanti di Houla. Come un copione già visto altre volte per situazioni simili si vedono i corpi insanguinati di tanti piccoli raccolti sopra delle coperte. Niente di più. Difficile sapere esattamente dove, quando, da chi, come e perché sono state girate quelle immagini. La reazione dei media di stato siriani è durissima. Vengono accusati i gruppi legati a Al Qaeda.
Dopo due giorni arriva la reazione ufficiale di Stati Uniti e Unione Europea. Il segretario di stato americano Hillary Clinton condanna l’atrocità del massacro unendosi all’appello mondiale per mettere fine al bagno di sangue nel paese arabo. “Gli Stati Uniti condannano nel modo più forte il massacro. Quelli che hanno perpetrato questa atrocità devono essere identificati e devono renderne conto. Gli Stati Uniti lavoreranno con la comunità internazionale per intensificare la nostra pressione su Assad e i suoi, perché le uccisioni e la paura devono cessare”.
Anche l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Catherine Ashton, si dice inorridita dalle notizie del brutale massacro e condanna “nel modo più forte questo atto efferato perpetrato dal regime siriano contro il suo stesso popolo nonostante l’accordo per il cessate il fuoco e la presenza degli osservatori Onu”.
Il presidente Assad è circondato. Il mondo non fa che parlare di lui, come l’autore del più terribile dei massacri dall’inizio della crisi nel suo paese. Anche l’alleato storico della Siria, la Russia, sembra prendere le distanze da Damasco. Per Mosca, infatti, “entrambe le parti”, sia l’esercito siriano che l’opposizione siriana, hanno responsabilità sul massacro. Parole che ovviamente non convincono l’opinione pubblica internazionale, che esclude categoricamente la partecipazione diretta e indiretta dei ribelli nella strage.
La Cina dice di essere scioccata dal crudele assassinio di cittadini innocenti”, di cui però non ha nominato i colpevoli, e ha chiesto a “tutte le parti in causa” di aderire al piano Annan da linkare. Come sottolinea la rivista di geopolitica Limes, diretta da Lucio Caracciolo, “nella crisi siriana Pechino mantiene un profilo basso, ma è sempre schierata con Assad: come Mosca, ha posto il veto a una risoluzione che avrebbe potuto aprire le porte al cambiamento di regime, perché ammettere in linea di principio la violazione del diritto di non-ingerenza potrebbe avere conseguenze nefaste sulla sua politica interna e internazionale”.
A difendere Assad rimane soltanto l’Iran che condanna la strage di Houla attribuendola invece ad un “un attentato terroristico”. Teheran contestualmente ne approfitta per denunciare il sostegno di alcuni paesi occidentali, arabi e della Turchia, ai gruppi di opposizione siriani. È la stessa posizione assunta da Hezbollah in Libano.
La verità dunque è scritta, la strage di Houla ha il suo responsabile: è il presidente della repubblica siriana. Assad parla dopo una settimana davanti al nuovo parlamento. Definisce “insopportabili” quelle immagini ed esprime “rabbia” per la morte dei bambini. Ecco le sue parole: “Il massacro di Hula è stato opera di «mostri. Quello che è avvenuto ad Hula e altrove in Siria è un massacro brutale che neanche dei mostri avrebbero commesso”.
Nessuno gli crede, ovviamente. E per convincere il mondo della sua responsabilità gli Usa diffondono persino delle immagini satellitari. Non c’è dubbio: la strage è stata opera delle forze governative.
Dal punto di vista politico la strage di Houla rappresenta una straordinaria occasione per i ribelli che infatti rompono la tregua e dichiarano il fallimento del piano di pace di Kofi Annan, inviato dalle Nazioni Unite per trovare una soluzione diplomatica al conflitto. Secondo i media si tratta di una reazione “dettata dalla rabbia e dal dolore quella dei rivoltosi siriani, decisi a puntare il dito contro il governo di Bashar al Assad, ritenuto responsabile dell’attacco che ha massacrato numerosi civili nella provincia di Homs, sterminando famiglie intere con l’impiego di artiglieria pesante”.
La strage rappresenta il “punto critico” nel conflitto in Siria. Pochi giorni dopo le prime notizie dell’eccidio, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania, e diversi altri paesi occidentali hanno annunciato l’espulsione degli ambasciatori della Siria in segno di protesta. Gli Usa hanno anche sanzionato una banca siriana.
I ribelli però non hanno fatto i conti con il giornalista di guerra Rainer Hermann, inviato sul campo dal Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano tedesco noto per le proprie posizioni conservatrici e liberali, che rivela come siano proprio essi i responsabili del massacro di Houla. Si tratta di un report scritto da un cronista attento, particolarmente sensibile alle fonti, un giornalista che non si ferma davanti a niente e nessuno. Secondo la sua dettagliata ricostruzione, sono stati i ribelli sunniti anti Assad a massacrare oltre cento persone, tra le quali moltissimi bambini. La ragione è semplice: la maggior parte delle vittime erano membri alawiti e di minoranze sciite, che in gran parte sostenevano Assad. E a dare una mano a Rainer Hermann sono stati anche alcuni oppositori del regime che si sono rifiutati di dare le loro generalità per paura di rappresaglie da parte di gruppi armati dell’ opposizione.
Scrive l’inviato del giornale tedesco: “Dei civili uccisi, 84 nomi sono conosciuti. Sono padri, madri e 49 bambini della famiglia Al Sayyid e due rami della famiglia Abdarrazzak. Inoltre a Taldou sono stati uccisi parenti del parlamentare Abdalmuti Mashlab”.
Si tratta di alawiti e sciiti, dunque sostenitori del governo. Hermann continua poi, grazie anche alle testimonianze di un undicenne di nome Ali (unico sopravvissuto della famiglia Sayyid), la ricostruzione dei fatti: “Dopo la preghiera di venerdì 25 maggio, più di 700 armati guidati da Abdurrazzak Tlass e Yahya Yusuf, formanti tre gruppi provenienti da Rastan, Kafr Laha e Akraba, hanno attaccato tre posti di blocco dell’armata attorno a Taldou. I ribelli numericamente superiori e i soldati (anche loro per lo più sunniti) hanno combattuto sanguinosamente, e molti soldati, per lo più coscritti, sono stati uccisi. Durante e dopo i combattimenti i ribelli, aiutati da residenti di Taldou, hanno eliminato le famiglie Al Sayyid e Abarrrazzak; avevano rifiutato di unirsi all’opposizione”.
Secondo le fonti dell’articolo, “il massacro si è verificato dopo che le forze ribelli hanno attaccato tre posti di blocco controllate dall’esercito al di fuori di Houla. I posti di blocco erano stati istituiti per proteggere i vicini villaggi a maggioranza alauita da attacchi da parte delle milizie sunnite. L’attacco dei ribelli ha provocato una richiesta di rinforzi da parte delle unità dell’esercito assediati. Le forze armatesiriane e ribelli, viene riportato, si sono impegnate nella battaglia per circa 90 minuti, durante i quali “dozzine di soldati e ribelli” sono stati uccisi.”
A fondamento del suo rapporto, il Frankfurter Allgemeine Zeitung cita le testimonianze oculari raccolte dai rifugiati provenienti dalla regione Houla dai membri del Monastero di San Giacomo a Qara, in Siria. Secondo queste fonti citate dal monastero e secondo l’esperto tedesco di Medio Oriente, Martin Janssen, ribelli armati hanno ucciso “intere famiglie alauiti” nel villaggio di Taldo nella regione Houla.
Sono notizie che qualunque testata giornalistica avrebbe potuto verificare e raccontare al mondo. Per mesi si è taciuto in modo sistematico sulle stragi commesse dai ribelli. Spesso sono stati presi di mira anche i cristiani e non solo i gruppo politici e sociali vicini al presidente Assad. Nessuno ha voluto vedere questa realtà. Si è preferito tacere per offrire ai lettori una sola versione, quella più comoda. Tutte le televisioni e i giornali italiani si sono comportati in maniera scandalosa, occultando i crimini commessi dai ribelli per enfatizzare quelli, veri o presunti, perpetrati da Assad nei confronti della popolazione e dei suoi oppositori. Una strategia studiata a tavolino e disattesa solo dai piccoli quotidiani indipendenti, in particolari quelli presenti sulla rete, inesauribile fonte di notizie e di controinformazione.
A due settimane dal massacro, quando è chiaro che il presidente siriano non c’entra nulla con quella strage, sul sito www.informationclearinghouse.info Doug Mataconis denuncia: “Già all’inizio di aprile, Madre Agnès-Mariam della Croce del Monastero di San Giacomo ha messo in guardia sulle atrocità commesse di ribelli ‘resoconti riconfezionati dai media sia arabi e occidentali come atrocità di regime. Ha citato il caso di un massacro nel quartiere Khalidiya a Homs. Secondo un resoconto pubblicato in francese sul sito del monastero, i ribelli riuniti gli ostaggi cristiani e alawiti in un edificio a Khalidiya l’hanno fatto saltare in aria con la dinamite. Hanno poi attribuito questo massacro all’’esercito regolare siriano. “Anche se questa azione è stata attribuita alle forze dell’esercito regolare, le prove e le testimonianze sono inconfutabili: E ‘stata un’operazione intrapresa da parte di gruppi armati affiliati con l’opposizione,” ha scritto Madre Agnès-Mariam”.
La domanda a questo punto sorge spontanea: come hanno reagito i media e il mondo dell’informazione al clamoroso scoop del Frankfurter Allgemeine Zeitung. Con il silenzio o quasi. La notizia è passata inosservata in un mare di imbarazzo e di gelo. Il mostro sbattuto in prima pagina per due settimane come l’autore, attraverso il suo esercito, del massacro di civili inermi è rimasto tale. Nessun passo indietro rispetto all’indignazione generale che lo aveva additato come un criminale che aveva toccato un punto di non ritorno nella strategia del terrore. La stessa comunità internazionale che aveva persino invocato un intervento armato per destituire Assad, che aveva rotto le relazioni diplomatiche con la Siria, di fronte alla verità comprovata da fatti e certificata da testimonianze inoppugnabili ha fatto spallucce, nascondendosi nell’odioso imbarazzo di chi sa che le cose devono andare soltanto in un unico modo. Ma se la politica ha nel suo dna questo genere di comportamenti e se i governi occidentali utilizzano la disinformazione per condurre azioni diplomatiche e militari per raggiungere un obiettivo precostituito, è inaccettabile che questa logica venga accettata da chi deve dare notizie secondo principi di obiettività, trasparenza, verità e indipendenza.
In Italia il comportamento è stato altrettanto scandaloso. I grandi quotidiani (Il Corriere della Sera, La Repubblica e La Stampa) che avevano scritto fiumi di inchiostro per raccontare ai propri lettori come la strage fosse opera del regime, si sono ben guardati dal raccontare la verità. A differenza del quotidiano tedesco che ha mandato sul posto un inviato di guerra di grandi capacità, i nostri quotidiani si sono limitati a raccontare il conflitto siriano dal salotto delle proprie redazioni (in Italia o con i corrispondenti dagli Stati Uniti o da Israele) oppure a traino di quei ribelli, nelle cui fila spesso si nascondevano i peggiori terroristi, i nemici dell’occidente, quelli cresciuti con l’odio nei confronti di qualunque diversità di natura religiosa o culturale (come i salafiti) o addirittura gruppi armati al soldo di stati stranieri che si richiamano espressamente al radicalismo islamico e alle strategie criminali di Al Qaeda. Facile in questo modo nascondere la verità e celare all’opinione pubblica italiana la verità su quel fatto. La sproporzione della notizia (falsa), data i primi giorni, e quella (vera), non data dopo l’articolo del quotidiano tedesco, è imbarazzante e richiederebbe di essere studiata in qualsiasi scuola di giornalismo degna di questo nome.
A dimostrazione di quanto si afferma, si può effettuare una semplice operazione. Basta andare nel più famoso motore di ricerca di internet, Google, e digitare “Strage di Houla”. Rimane impressa soltanto la finta verità. Per conoscere come sono andate realmente i fatti in quel di Houla bisogna andare nei siti dei quotidiani, spesso piccoli e indipendenti, che fanno “controinformazione”, coraggioso baluardo contro l’ondata di “disinformazione” che i media più famosi hanno condotto in Siria dall’inizio del conflitto.
(Tratta dal libro “Syria- Quello che i media non dicono (Arkadia Editore)
Alessandro Aramu (1970). Giornalista professionista. Laureato in giurisprudenza, è direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria(Arkadia Editore 2014). E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. E’ responsabile delle relazioni internazionali della Federazione Assadakah Italia – Centro Italo Arabo e Presidente del Coordinamento nazionale per la pace in Siria.