L’ANALISI/ La candidatura presidenziale di Robert Kennedy Jr.: nuovi orientamenti nella politica americana?


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(BRUNO SCAPINI ) – Alla luce del difficile momento che il mondo oggi conosce, e per il quale ogni previsione sulla sua evoluzione viene impedita dalla continua emergenza di crisi e conflittualità in ogni angolo del pianeta, è quasi impossibile cogliere altro senso negli eventi se non quello di un loro orientamento verso una generale destabilizzazione della comunità internazionale. Trattasi di uno sviluppo certamente voluto e cercato da alcune élite, e soprattutto da quelle  che lo ritengono propedeutico al progetto di egemonia sul mondo che ormai chiaramente dichiarano di voler conseguire.

Così, al fenomeno del deterioramento dei valori che contraddistingue questa fase di transizione verso un nuovo ordine mondiale – di cui però non ci è permesso di intravedere ancora i connotati – si accompagna l’imposizione di regole e di usi che di certo ci condurranno ad una trasvalutazione del ruolo dell’uomo, sia come singolo individuo, sia come parte nelle formazioni sociali, per alterarne alla fine la stessa primitiva condizione naturale. A tale processo di negativa incidenza, comune peraltro a tutte le società più avanzate, non sono sfuggiti neanche gli stessi Stati Uniti; il Paese ovvero in cui proprio questo fenomeno di profonda trasformazione oggi in atto è stato originato.

È in questo contesto che va dunque collocata la recente decisione annunciata a Filadelfia il 9 ottobre scorso da Robert Kennedy Jr. di abbandonare il Partito Democratico, smarcandosi dalle vischiosità di una “nomination” già destinata a Biden, per proporsi direttamente alle elezioni presidenziali del 2024 come candidato indipendente.

Sulla mossa intrapresa da Kennedy Jr., e che ha peraltro colto di sorpresa una buona parte della opinione pubblica non solo in America, ma anche nel mondo intero, qualcuno avrebbe potuto pure scommetterci visto il tipo di impegno politico assunto dall’uomo fin dall’indomani dello scoppio della pandemia da Covid-19.

È stato, infatti, il suo aperto schieramento contro la politica sanitaria suggerita da Antony Fauci che deve averlo indotto a puntare su un radicale cambiamento della politica americana. Un’esigenza – come egli stesso ha dichiarato – percepita indispensabile da un popolo che, stanco di subire le nefandezze di superate logiche politiche, reclama la liberazione dalle multinazionali, dai media mercenari, da lobbisti e ciniche elite. Una decisione, dunque, quella del Kennedy Jr. che più in particolare sembrerebbe essere stata indotta dalla sua personale constatazione del pericolo che una nuova “era of dinosaurs” possa riaffacciarsi per l’America; ovvero l’avvento di un’epoca in cui la forza smisurata raggiunta dalle “corporate” rischi di prendere irrimediabilmente il  sopravvento sulla politica.

Non a caso del resto, annunciando il suo programma, Kennedy Jr. preconizza – punto centrale della sua strategia –  una nuova “dichiarazione di indipendenza” per il popolo americano. Ma questa volta per liberare il Paese non dall’oppressione della corona britannica, sfociata al tempo nella rivolta delle colonie, bensì da un pericolo interno alla stessa nazione americana e come tale ancora più insidioso: lo strapotere delle élite e delle lobby economiche e finanziarie.

Ecco allora che la mossa del Kennedy Jr. acquisterebbe di senso; e soprattutto se la valutassimo all’interno di questo auspicato progetto di rinnovamento nazionale che per affermarsi troverebbe per ora spazio politico solo nella misura in cui l’elettorato americano decidesse di dissentire dalla linea di entrambi i principali schieramenti politici: il Partito Democratico e quello Repubblicano.

Del resto, non pare esservi dubbio che la società americana, da sempre crogiuolo di nuove idee e anticipatrice di innovazioni tanto nel campo della tecnica quanto in quello dei costumi e stili di vita, sia oggi attraversata da un profondo malessere. Sempre più ostilmente, infatti, viene percepito in questi anni dal popolo americano l’emergere di un corso politico che, toccando nodi importanti della vita nazionale, dal degrado delle libertà democratiche, alla precarietà sociale, dalla crisi della finanza pubblica all’eccesso di interventismo all’estero, ha condotto ad una polarizzazione crescente della pubblica opinione del Paese.

Un fenomeno che oggi, per l’entità assunta, è divenuto ineludibile per qualunque pronostico si voglia formulare sui futuri e tanto attesi esiti delle  presidenziali 2024. La presenza di fattori estremamente divisivi che da qualche tempo agitano, lacerandolo, il tessuto politico e sociale americano, verrebbe, infatti, considerata da una larga parte dell’opinione pubblica del Paese come fonte di una irriducibile contrapposizione ideologica la cui più evidente espressione è rinvenibile nell’assalto al Campidoglio del 5 gennaio del 2021, in contestazione della vittoria di Biden.

Ad un esame più analitico del fenomeno si tratterebbe invero di una polarizzazione che trova le sue scaturigini principalmente in quella radicalizzazione ideologica dei Partiti conseguente, da un lato, alla smoderata crescita di influenza  del potere economico-finanziario, nascosto tra le pieghe del “deep state”, e, dall’altro,  all’avvento di una parcellizzazione mediatica  più incline a sostenere interessi di parte che ad offrire al pubblico una informazione imparziale e libera da condizionamenti. Lo scarto culturale, poi, ancora esistente tra individui di Stati diversi, dall’Atlantico al Pacifico, e la presenza di problematiche tuttora irrisolte come il razzismo, l’immigrazione e la criminalità, renderebbero lo scontro ideologico ancora più acceso al punto da indurre ( dati del Public Religion Research Institute) ben il 40% dell’elettorato  addirittura ad accettare una secessione del proprio Stato piuttosto che veder perdere il proprio candidato presidenziale a causa di possibili brogli elettorali.

Sempre secondo la medesima fonte, inoltre, risulterebbe che ben il 60%  dell’elettorato avrebbe dichiarato il proprio pessimismo a riguardo della possibilità di un recupero  da questo  negativo fenomeno; il che indurrebbe a immaginare quanto potrà essere esacerbato al prossimo appuntamento elettorale lo scontro  tra i principali candidati presidenziali

D’altra parte, indicativo del cambiamento oggi in atto nel corpo d’opinione americano sarebbe proprio il mutamento di ruolo registrato dai partiti politici nel corso del tempo. Se nell’America degli anni ’80, infatti, si vincevano le elezioni  con una stragrande netta maggioranza di preferenze per un partito che a nient’altro serviva se non a raccogliere i consensi attorno ad una preminente figura di candidato, negli ultimi decenni invece i candidati si trovano costretti a contendersi i voti sul filo dei minimi scarti alimentando in tal modo il sospetto di illecite manipolazioni da parte dei partiti.

È in questo quadro che, dunque, andrebbe valutata la candidatura di Robert Kennedy Jr.. Una candidatura destinata a creare, in virtù di un non indifferente ascendente che il casato dei Kennedy potrà ancora esercitare sull’elettorato, un terzo polo di riferimento nella grande corsa alla Casa Bianca.

Tuttavia c’è da chiedersi in questa prospettiva se l’indipendente Robert Kennedy Jr. potrà mai raggiungere quote maggioritarie di preferenze in assenza di una macchina elettorale in grado di sostenerlo a livello nazionale. In America, si sa, le elezioni si vincono grazie anche, e soprattutto, ai finanziamenti delle lobby che contano. E se  questi verranno a mancare per Kennedy Jr. la sua prospettiva di successo verrebbe certamente umiliata; e ancor più qualora non dovesse bastare per sostenerlo neanche la memoria del ben noto zio John, ucciso a Dallas nel lontano ormai 1963, il cui ricordo, a fronte dei critici tempi attuali, potrebbe verosimilmente orientare a suo favore un elettorato deluso da una politica cieca di fronte ai grandi problemi che tuttora affliggono la società americana contemporanea.

Si potrebbe, comunque, ammettere – prescindendo dall’esito elettorale di una probabile corsa a tre con Trump e Biden concorrenti – che un effetto la sua candidatura potrebbe certamente avere: erodere il consenso ad entrambi i Partiti repubblicano e democratico (già affetti al loro interno da certe fratture), ma sopratutto quello di sottrarre utili voti alla ricandidatura di Biden sul cui successo sembrano gli apparati del “deep state” oggi puntare per una continuità lineare dell’attuale corso politico del Paese.

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