L’attentato a Mosca: “elementare, Watson!”  


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(Bruno Scapini) – Si fa gran parlare, a distanza di appena due giorni dall’attentato di Mosca, di quali possano essere le ragioni e le motivazioni che si nasconderebbero dietro questo efferato atto di disumana follia. Il bilancio dell’eccidio sarebbe gravissimo: fonti russe indicano in 133 i morti ad oggi accertati, mentre il numero dei feriti ammonterebbe a oltre 150. Uno scenario certamente pesantissimo per entità delle vittime, ma soprattutto drammatico per il contesto in cui ha preso forma e contenuto, nel pieno, cioè, di una guerra combattuta secondo modalità tecnicamente definite “ibride”, ma sicuramente senza esclusione di colpi.

La guerra, infatti, continua a consumarsi sul terreno e nessuna delle parti in causa accenna a demordere. I bombardamenti sulle reciproche posizioni proseguono, né si risparmia il Mar Nero come teatro bellico, dove gli ucraini puntano a indebolire la flotta russa.

In questo quadro in cui ogni tentativo di risalire alle vere ragioni dell’attentato risulterebbe mortificato dalla congerie di congetture, “fake news” e supposizioni che confluirebbero in una vera e propria sciarada, orientarsi per la ricerca di una valida spiegazione diventa un arduo esercizio. Eppure, a ben osservare, un’ipotesi sembrerebbe acquistare di plausibilità.

Le dichiarazioni frettolosamente rilasciate da parte americana a pochissime ore dall’attentato, circa una supposta estraneità dell’Ucraina, lascerebbero, per i termini e i tempi in cui sono avvenute, un ampio margine per sospettare proprio del contrario. La contestuale assunzione di responsabilità poi, dichiarata e ribadita da esponenti dell’ISIS (addirittura con un video ripreso in corso di eccidio e diramato da Amaq News l’Agenzia stampa affiliata allo Stato Islamico) quasi in simultanea simmetria, integrerebbe il quadro dei sospetti in favore della tesi, in fondo voluta e cercata dagli americani, secondo la quale il terrorismo islamico non sarebbe mai morto, anzi è vivo e vegeto e pronto a condurre la sua Guerra Santa contro l’Occidente nemico. Tesi, questa, peraltro sostenuta apertamente dalla portavoce ufficiale del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Adrienne Watson, la quale avrebbe dichiarato: “l’Ucraina non è coinvolta nell’attacco terroristico, ma la colpa è dell’ISIS”.

Peccato, però, che indipendentemente dal fatto che la paternità dell’attentato possa essere ricondotta all’ISIS o meno, alcuni elementi del contesto storico di riferimento indurrebbero a pensare come la tesi accreditata dagli Stati Uniti sulla responsabilità del noto gruppo terrorista islamista trovi giustificazione quale “strumento di depistaggio” per allontanare i sospetti dell’attentato proprio dai veri mandanti (americani?).

Del resto che l’Ucraina in questa guerra faccia ricorso al terrorismo è fatto acclarato. Oltre alle testimonianze offerte da alcune inchieste giornalistiche di testate come l’Economist e il New York Times, lo avrebbe dichiarato lo stesso capo dell’Intelligence militare ucraina, Kyrilo Budanov  e il capo dei Servizi Interni, Vasil Malyuk. Ma lo proverebbero soprattutto gli attentati per i quali l’Ucraina si è nel recente passato impegnata in territorio russo come nel caso dell’uccisione della figlia di Alexandr Dugin, Daria, e del giornalista nazionalista Tatarsky.  Tutti elementi, questi, che confermerebbero come gli ucraini ricorrano al terrorismo applicandolo  quale metodo di guerra consolidato e sistematico; e ciò attesi, peraltro, i rapporti mantenuti da tempo, sin dalla guerra in Iraq, con frange estremiste facenti capo proprio all’ISIS.

Ma, alcune domande bisognerebbe porsi al riguardo. E chiediamoci pure: perché mai l’ISIS si sarebbe riaffacciata sul fronte della Guerra Santa proprio in questo momento, quando cioè è in corso una guerra voluta ad oltranza dagli Stati Uniti contro una Russia probabilmente vincitrice e a ridosso di uno schiacciante successo elettorale di Putin appena conseguito? E poi… a quale potenza avrebbe fatto finora gioco la sopravvivenza dello Stato Islamico inducendolo ad intervenire in diversi teatri di guerra là ove erano evidenti gli interessi occidentali? Siria, Iraq, Libia, Nagorno Karabagh, sono tutti scenari in cui Washington tuttora si muove da convincente protagonista, il che spiegherebbe la sua cercata “tolleranza” usata nei confronti dell’ISIS, il mastino ben addestrato e tenuto nel giardino accanto, pronto per essere scagliato al momento opportuno contro l’avversario.

Ma, tornando alla dinamica dell’attentato, l’esistenza di un filo di collegamento tra l’eccidio di Mosca e l’Ucraina sarebbe del resto dimostrato dalla circostanza che i presunti autori sarebbero stati arrestati guarda caso nell’area di Briansk, proprio in prossimità della frontiera ucraina avendo qualcuno preparato oltre confine – come dichiarato dallo stesso Presidente Putin – una apposita “finestra” di passaggio. Un collegamento, questo, tra attentatori e Ucraina che ben comprensibilmente transiterebbe dall’ISIS inducendoci a chiudere il cerchio delle supposizioni con l’ipotesi, ora ben accreditabile, che  l’attentato sia stato concepito e voluto in Occidente con un duplice plausibile obiettivo: consentire al conflitto un “up-grading” in esito a questa provocazione ritenuta suscettibile di indurre Mosca ad una più forte reazione, e offrire al contempo un ottimo pretesto all’Unione Europea per procedere alla propria militarizzazione giustificandola agli occhi dei suoi popoli ignari con la minaccia che su di loro incomberebbe da parte di una Russia non più controllabile.

La tesi di un tale collegamento tra autori dell’attentato, Ucraina e ISIS si arricchirebbe per giunta di contenuto e credibilità alla luce di quanto affermato dallo stesso Putin nel suo discorso alla Nazione ad attentato avvenuto. Il Presidente russo, infatti, avrebbe individuato, in un passaggio decisivo del suo intervento, tre soggetti interessati: gli autori, l’organizzazione e i mandanti. Orbene, allo stato attuale dei fatti gli autori sarebbero stati individuati e tratti in arresto, l’organizzazione di riferimento sarebbe stata identificata nell’ISIS, peraltro per dichiarazioni esplicite dell’Occidente, ora mancherebbe solo un elemento da scoprire per risolvere la sciarada: i mandanti. Ma sul punto Putin sembrerebbe essere più che cauto. Sebbene gli indizi per ricondurre l’affare alla CIA e al MI6, ci sarebbero tutti, il Capo del Cremlino preferisce additare l’Ucraina quale responsabile dell’attentato. Colpevolizzare apertamente Washington sarebbe di certo possibile e anche realistico, ma sarebbe un passo critico in quanto – per un principio di credibilità delle dichiarazioni – Putin dovrebbe far seguire alle parole i fatti. E i fatti in questo caso condurrebbero inevitabilmente alla più disastrosa delle conseguenze: la guerra totale.

A questo punto dovremmo chiamare nuovamente in causa la portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale statunitense per dirle – mutuando le parole dal ben più noto investigatore, Sherlock Holmes – quanto sia fallace la sua tesi sulla incriminazione dell’ISIS invece che dell’Ucraina. ”Elementare, mia cara Watson! Non è vero?”

 

 

 

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