“Sono in arrivo tempi felici”: lo ha dichiarato il leader nazionalista hindu e vincitore delle elezioni indiane, Narendra Modi, salutando una folla esultante nella sua circoscrizione Vadodara, nello Stato occidentale del Gujarat, dove è considerato una sorta di divinità. Tempi felici anche pensando alla vertiginosa crescita economica fatta registrare in questo Stato, con percentuali di incremento del Pil che sono le più alte dell’India. Modi in questi anni ha portato avanti un modello di crescita inclusivo, certamente la chiave vincente di questo enorme successo popolare.
Modi è attualmente chief minister del Gujarat. Ha 63 anni ed è molto popolare tra i giovani: è un oratore molto carismatico ed è considerato un abile comunicatore. Modi è figlio di un negoziante di tè e ha iniziato la sua carriera politica nel Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un’organizzazione indù di estrema destra vicina al BJP: fu un ex membro di RSS ad assassinare il Mahatma Gandhi, nel 1948.
Nel corso della campagna elettorale ha parlato molto di corruzione, un problema molto sentito in India e che ha raggiunto livelli senza precedenti anche a causa della rapida crescita economica del paese. L’attuale coalizione di governo è stata più volte accusata di non avere adottato sistemi efficaci per contrastare i casi di corruzione sia a livello federale sia a livello statale.
L’iniziale successo politico di Modi fu dovuto a una serie di campagne elettorali costruite su misura dell’elettorato indù e sulla demonizzazione della minoranza musulmana (in India gli indù costituiscono circa l’80 per cento della popolazione, contro il 13 per cento dei musulmani). È accusato di aver istigato le violenze tra indù e musulmani in Gujarat avvenute durante la sua campagna elettorale e subito dopo la sua nomina nel 2002. “Il 27 febbraio di quell’anno, – ricorda la studiosa Elena Borghi – un treno su cui viaggiavano i nazionalisti hindu di ritorno da un pellegrinaggio ad Ayodhya – che per tutto il percorso e nelle stazioni avevano scandito slogan e provocazioni anti-musulmani – venne fermato nel quartiere musulmano della città di Godhra; un incendio divampò in uno dei vagoni, provocando la morte di cinquantasette pellegrini hindu. Questo fornì il pretesto per il dilagare della violenza anti-musulmana in tutto il Gujarat, dove le vittime furono circa duemila, i feriti migliaia e migliaia, i rifugiati 125mila, i luoghi di culto distrutti oltre cinquecento, in una furia che ricordava il tentativo di pulizia etnica dei tempi della Partizione e che denunciava una buona dose di premeditazione a livello del governo regionale gujarati”.
Grazie ai disordini, in Gujarat le elezioni furono anticipate alla fine del 2002, garantendo al BJP una vittoria alla quale difficilmente avrebbe potuto aspirare, solo un anno prima. “Modi non si è mai scusato a parole, ma è riuscito a farlo con i fatti, e nessuno può dimenticarlo”, commentano alcuni suoi sostenitori
Nel suo primo intervento pubblico, il leader del Bjp (Bharatiya Janata Party) ha ringraziato gli elettori per l'”amore” che ha sostenuto lui e il partito nazionalista hindu nella storica vittoria elettorale. In migliaia hanno intonato il suo nome nel giorno in cui sono stati resi noti i primi risultati del voto durato sei settimane. Il trionfo del partito Bharatiya Janata (Bjp), orientato su posizioni vicine al mondo delle imprese, è evidente anche nel successo personale del loro leader, che ha conquistato il proprio seggio con mezzo milione di voti.
Secondo i primi risultati del conteggio il Bharatya janata party (Bjp) e i suoi alleati hanno conquistato oltre 320 seggi sul totale di 543 della Camera bassa. Da solo, il partito indù nazionalista ha ottenuto oltre 272 seggi. Il Congresso, lo storico partito guidato dall’italo indiana Sonia Gandhi e dal figlio Rahul, si è fermato a 59 seggi e ha già ammesso la propria sconfitta. L’India è stata impegnata in una lunga maratona elettorale, dal 7 aprile al 12 maggio, con una partecipazione record di 551 milioni di votanti pari al 66,38% dell’elettorato, in crescita rispetto ai 417 milioni di cinque anni fa.
Le elezioni in India hanno segnato la fine della dinastia Nehru-Gandhi, già iniziata in parte dopo l’assassinio di Rajiv Gandhi, nel 1991. Il governo di New Delhi negli ultimi due mandati è stato affidato a Manmohan Singh solo perché Sonia “l’italiana”, pur mantenendo la Presidenza del Partito del Congresso, era “troppo poco indiana” per vestire i panni da Primo Ministro. I due rampolli di famiglia, Rahul e Pryianka, certamente poco carismatici e con poche idee non sono stati premiati e sono stati percepiti dall’elettorato indiano incapaci di dare quella scossa che il paese attendeva da molti anni.