(Gabriele Pedrini, Beirut) – Alla vigilia della scadenza del suo mandato (il 24 maggio n.d.r. ), il presidente Michel Sleiman ha tenuto un discorso di addio alla presenza dei rappresentanti delle varie forze politiche libanesi. La fine della presidenza di Sleiman (in carica dal 2008) coincide con l’inizio di un periodo di vacuum istituzionale, dato dalla difficoltà di giungere ad una soluzione di compromesso consensuale sul nome di chi andrà ad occupare il palazzo di Ba’abda per i prossimi sei anni.
Alla cerimonia di addio presso il palazzo presidenziale erano presenti i più alti esponenti della vita politica libanese, dal primo ministro Tammam Salam ai suoi predecessori Mikati e Siniora, fino all’intramontabile Walid Jumblatt. Gli esponenti di Hezbollah non hanno simbolicamente partecipato alla cerimonia. Infatti, i rapporti tra il Partito di Dio e Michel Sleiman si erano definitivamente incrinati quando quest’ultimo non aveva lesinato aspre critiche sulla questione dell’intervento in Siria. Ma il clima di insoddisfazione per il suo mandato è emerso anche dall’amarezza dell’ultimo discorso da capo dello stato. L’affermazione secondo cui “le pratiche costituzionali degli ultimi sei anni hanno rivelato lacune costituzionali che ostacolano l’azione politica nel Paese”, nonché l’enfasi attribuita alla necessità di attuare riforme costituzionali, lascerebbe intendere che l’inefficienza istituzionale sia stata la vera causa del suo mandato non propriamente brillante. Più che un resoconto dei risultati ottenuti è apparso dunque come un’arringa difensiva in risposta alle critiche sul suo operato.
In un articolo di Ghassan Sa’ud su al-Akhbar, si accusa Sleiman di inettitudine nel risolvere le questioni importanti che attanagliano il Paese. Anzi, ne emerge il ritratto di un presidente che, entrato nel palazzo con un’automobile mediocre, uscirà da questo con un corteo di trenta macchine tutte immatricolate a suo nome – nonostante “lo stipendio di sei anni del presidente della repubblica non sia sufficiente per comprare una sola macchina blindata” – nonché un elicottero regalatogli dal precedente emiro del Qatar. O ancora, un presidente che, prima, abitava tra la foresteria degli ufficiali dell’esercito (Sleiman è un generale dell’esercito) e la casa dello zio ad Aamchit e, ora, nella sola Aamchit possiede diversi appartamenti, oltre a una villa estiva a Lehfed e una a Ba’abda. E ancora, orologi d’oro e diamanti, scandali che hanno coinvolto il fratello, il fratello della moglie e il figlio. Insomma, il ritratto di un presidente il cui bilancio finale non si misura col raggiungimento di obiettivi di interesse collettivo, bensì col miglioramento delle condizioni economiche proprie e familiari.
Sleiman a parte, la situazione di vuoto istituzionale che si creerà da lunedì 26 maggio non costituirà un unicum nella storia politica libanese, dato che già nel 1998 e poi nel 2007 non si riuscì a eleggere per tempo un nuovo presidente della repubblica. Anche allora il nodo della matassa venne sciolto – per utilizzare un eufemismo – al di fuori dei confini libanesi, nella consueta tradizione di uno Stato che è influenzato e determinato dalla volontà di tutti gli attori regionali. Tuttavia, oggi il quadro regionale è decisamente più conflittuale, ragione per cui la soluzione potrebbe risultare più complicata e, dunque, tardiva. Prima di arrivare ad un consensus sul nuovo presidente della repubblica e, quindi, sugli equilibri del nuovo corso libanese sarà probabilmente necessario attendere gli sviluppi delle elezioni in Siria e in Iraq.
Quel che è certo è che da lunedì prossimo il governo di Tammam Salam dovrà farsi carico, costituzionalmente e politicamente, di sopperire alla presenza di un capo dello stato, rappresentando e guidando le fragili istituzioni libanesi fino a che non si approdi ad un accordo sul nome del successore di Sleiman. In definitiva – stando all’ironia di Ghassan Sa’ud – “Sleiman lascia dietro di sé un Paese che esce dalla fase del nulla verso la fase del vuoto”.
Foto: The Daily Star/Mohammad Azakir
Gabriele Pedrini (1982). Dottorando di ricerca in Storia e Istituzioni del Vicino Oriente all’Università di Cagliari, lavora su fonti in arabo per la propria tesi sulle teorie dell’autorità nel pensiero politico sciita contemporaneo. Ha vissuto per studio e ricerca a Damasco e Beirut. Attualmente è stagista presso l’Institute for Palestine Studies di Beirut.