(REDAZIONE) – Il 7 agosto sarà una data fatidica per il Libano e per il movimento sciita Hezbollah: il Tribunale Speciale dell’ONU per il Libano (TSL) per quel giorno emetterà la sentenza sull’assassinio dell’ex Primo Ministro Rafiq Hariri.
Nel processo in corso sono imputati per omicidio volontario quattro presunti membri dell’organizzazione libanese che ha sempre negato di essere coinvolta nell’attentato: Salim Ayyash è accusato per aver coordinato l’attacco. Assad Sabra e Hussein Oneissi avrebbero poi inviato un falso video alla rete televisiva Al-Jazeera rivendicando la responsabilità per conto di un gruppo apparentemente inventato. Hassan Habib Merhi è, infine, accusato per aver preso parte alla pianificazione dell’attacco. Secondo l’accusa, la mente dell’attacco sarebbe Mustafa Badreddine, un comandante militare di Hezbollah, già condannato dal Tribunale, che si ritiene sia stato ucciso in Siria nel 2016. L’intero processo si è svolto con i sospetti processati in contumacia.
Hariri, premier fino alle sue dimissioni nel 2004, venne ucciso il 14 febbraio 2005, quando un attentatore suicida fece esplodere un furgone vicino al suo convoglio corazzato sul lungomare di Beirut. Oltre all’esponente politico sunnita, morirono altre 21 persone e 226 rimasero ferite. I sospetti ricaddero inizialmente sulla Siria, da tempo molto influente nel Paese. A seguito dell’uccisione, che scatenò un’ondata di manifestazioni nel paese, le forze siriane si ritirarono, dopo 30 anni, dal Libano.
In vista del verdetto, Parigi avrebbe rassicurato Hezbollah in merito alle possibili conseguenze internazionali del giudizio. Lo riporta il sito libanese “Libnanews” citando fonti diplomatiche del quotidiano arabofono “Al Joumhouria”. La Francia avrebbe garantito la mancata apertura di procedure internazionali contro Hezbollah in caso di condanna, in cambio dell’interruzione da parte del movimento sciita di ogni campagna mediatica contro paesi del Golfo e Arabia Saudita. Dal suo canto il segretario generale del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, ha sempre rifiutato di consegnare i sospettati e ha invitato il Tribunale a “non giocare con il fuoco”, mentre il presidente della Repubblica Araba siriana Bashar al-Assad ha affermato che il Tribunale è uno strumento per “fare pressione su Hezbollah”.
Secondo alcuni analisti indipendenti, il tribunale dell’ONU, creato il 30 maggio 2007 con la risoluzione 1757 del Consiglio di Sicurezza, più che a cercare i cercare i presunti mandanti dell’assassinio dell’ex primo ministro Rafik Hariri, serviva a smantellare Hezbollah sia dal punto di vista politico che militare. Thierry Meyssan, consulente politico e presidente-fondatore della Rete Voltaire, in un lungo articolo in cui ha smantellato punto su punto le tesi dell’accusa contro il Partito di Dio, ha scritto: “Nel contesto del momento, significava né più né meno che accusare i presidenti siriano e libanese in carica, Bashar al-Assad ed Emile Lahoud, le bestie nere dei neoconservatori (americani n.d.r.). Ma si è scoperto che questa pista non era basata su alcuna prova concreta, ed era stata alimentata da falsi testimoni. Non avendo nessuno da giudicare, la Corte sarebbe potuta sparire nel limbo della burocrazia, quando un colpo a sorpresa lo pone nuovamente al centro dei conflitti politici regionali. Il 23 maggio 2009, il giornalista atlantista Erich Follath aveva rivelato allo Spiegel Online, che il procuratore si stava preparando a incriminare nuovi sospetti: i capi militari di Hezbollah. Per 18 mesi, il suo segretario generale, Hassan Nasrallah proclamò l’innocenza del suo partito. Egli sostenne che questa procedura era, in realtà, volta a decapitare la resistenza per spalancare la regione all’esercito israeliano. Da parte sua, l’amministrazione statunitense si pose improvvisamente a difensore della legge, e garantisce che nessuno può sfuggire alla giustizia internazionale”.
Un processo politico internazionale telecomandato dagli USA e da Israele, dunque, contro Hezbollah. Che oggi, con la guerra in Siria ancora in corso, si è arricchita di un nuovo significato: cogliere l’occasione per punire un prezioso alleato di Assad e dell’Iran degli Ayatollah.