Migliaia di libici stanno abbandonando la città di Tripoli, per sfuggire agli scontri tra le milizie di Zintan e quelle di Misurata che da tre settimane combattono per il controllo dell’aeroporto cittadino. Gli sfollati sono alla ricerca di zone più sicure nel timore che i colpi di mortaio, sparati in particolare dalle milizie di Misurata, possano cadere sulle loro case. Al momento la Croce Rossa libica non dispone di un numero esatto di profughi in fuga dalla capitale, ma la stima preliminare parla di 5mila famiglie. Un rappresentante della Croce Rossa locale, Rabeh al Faqih, ha spiegato all’emittente Sky Arabia che “le cifre cambiano in continuazione”.
LE MILIZIE DI MISURATA E ZINTAN – Lo Scudo centrale della Libia, che raggruppa alcune milizie islamiche di alcune città della Libia centrale, tra cui anche Misurata, città simbolo della rivolta contro Gheddafi, è schierato contro l’ex generale Khalifa Haftar che ha dichiarato guerra ai terroristi e alle milizie islamiche. In questi mesi Haftar ha raccolto sempre più dimostrazioni di solidarietà da gruppi e formazioni militari, ma non tutti hanno fiducia in lui e in molti lo temono. Viene considerato ambizioso e avido di potere. Il timore che punti alla leadership di una nuova dittatura militare è tutt’altro che infondato.
Formatesi durante la rivolta che ha rovesciato Gheddafi, le milizie di Misurata sono composte da ex ribelli. Considerati come eroi nel 2011, in seguito non hanno abbandonato le armi e sono diventati incontrollabili. Nei mesi scorsi i miliziani sono stati cacciati da Tripoli dopo il controverso ruolo negli scontri del venerdì nero del 15 novembre. Gli scontri esplosero dopo che miliziani di Misurata aprirono il fuoco su un centinaio di abitanti della capitale scesi in strada per manifestare, pacificamente, contro la presenza di gruppi armati. Oggi sono ritornati per riconquistare l’importante snodo aereo di Tripoli, fondamentale per controllare il territorio.
Anche la milizia di Zintan, in lotta con quella di Misurata, si è schierata con Haftar nella lotta ai gruppi estremisti. Le brigate di Zintan controllano l’aeroporto sin dalla caduta di Gheddafi, sono più vicine ai “liberali” e al debole governo guidato da Abdullah al Thani (anche se hanno rifiutato di cedere alle autorità centrali un prigioniero di lusso, il figlio del raìs, Saif al Islam, tutt’ora detenuto sotto la loro custodia).
NUOVO BILANCIO DI SANGUE – Soltanto ieri, negli scontri sono rimaste uccise 22 persone, altre 72 sono rimaste ferite. Il bilancio però è provvisorio. Secondo fonti sanitarie, il numero potrebbe essere sottostimato perché dal bilancio ufficiale mancano le vittime portate negli ospedali fuori da Tripoli, in particolare a Misurata, che ha inviato numerosi combattenti per gli scontri nella capitale.
“Gruppi armati – ha denunciato in una nota l’esecutivo – hanno continuato a bombardare obiettivi civili, mettendo a rischio migliaia di cittadini”. Con l’ultimo bilancio, sale a oltre 200 il numero dei morti registrato solo la settimana scorsa tra Tripoli e Bengasi, città dove giovedì è stato proclamato il primo emirato islamico in Libia.
LA LOTTA AI JIHADISTI – La battaglia dell’aeroporto si è affiancata agli scontri in corso da maggio nella zona di Bengasi, dove il generale Haftar ha lanciato un’offensiva contro le milizie islamiste che spadroneggiano in Cirenaica, come Ansar al Sharia e la Brigata 17 febbraio. Proprio Ansar al Sharia ha annunciato nei giorni scorsi di aver preso il controllo completo di Bengasi e di aver proclamato un emirato islamico. L’annuncio è arrivato da un responsabile del gruppo, citato dalla tv al Arabiya. Il generale libico Khalifa Haftar ha replicato che si tratta di una menzogna, precisando: «Ci siamo solo ritirati temporaneamente da alcune posizioni». I jihadisti dunque si rafforzano, l’esercito e l’aviazione regolari si sono uniti allo sforzo bellico del militare ribelle. Da metà luglio la situazione è degenerata anche a Tripoli: la capitale è diventata una seconda Bengasi, una città senza legge in mano alle milizie islamiste.
AMBASCIATA ITALIANA – Il governo di Tripoli ha avvertito del “peggioramento della situazione umanitaria” nella capitale. La maggior parte dei governi occidentali ha già evacuato le proprio ambasciate. La Gran Bretagna, uno degli ultimi Paesi occidentali a mantenere aperta la sua rappresentanza, ha evacuato il personale diplomatico a Tunisi e ha chiuso la sua missione. In Libia rimane solo la delegazione diplomatica italiana, a essa spetterà anche il difficile compito di provare a mediare tra le forze in campo, soprattutto quelle laiche. L’ambasciata italiana avrà anche il compito di informare i vertici europei e i partner occidentali su quanto accade in Libia per eventuali misure da intraprendere nel paese sconquassato da una terribile guerra civile.
IL NUOVO PARLAMENTO – Intanto si insedia ufficialmente il nuovo Parlamento eletto lo scorso 25 giugno. La sede sarà temporaneamente Tobruk, dove la quasi totalità dei 188 deputati eletti, 160, si è riunita per una seduta informale. Per molti osservatori è il primo successo politico per la fazione laica e nazionalista che si è imposta alle urne nei confronti di quella islamista, che aveva minacciato di boicottare la riunione considerandola anticostituzionale. Il parlamento è composto in maggioranza da moderati e liberali (i 55 deputati della Forza delle alleanze nazionali); gli islamisti conteranno su 23 seggi; 21 per il Movimento dei giovani per i diritti civili, il nucleo del gruppo che ha portato alla sollevazione contro Muammar Gheddafi; i restanti 89 sono da considerarsi indipendenti, anche se vicini a movimenti islamisti.