L’inchiesta Dossieraggi e la “connection” israeliana


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(Bruno Scapini) – Appare sempre più oscura, tenebrosa e avvilente la storia dei “dossieraggi” recentemente esplosa come un “fulmine a ciel sereno”.  La metafora calza perfettamente, si potrebbe affermare, infatti, data la (apparente forse) serenità del nostro Governo nel mantenere finora, senza ombra di ripensamento, né rimorso, consolidati rapporti di amicizia con Israele.

Il caso dello spionaggio – perché proprio di questo si tratta a ben guardare le dinamiche in cui si articola la vicenda – non si è limitato del resto alla scoperta di qualche sporadico hacker alla ricerca su propria iniziativa di insoliti dati sul conto di noti personaggi, bensì si è esteso ad una rete di operatori coinvolti in vaste attività di ricerca per l’ottenimento – su commissione – di informazioni riservate utili in qualche modo a consentire ad una svariata gamma di soggetti di conseguire vantaggi e benefici per una propria “buona causa”.

Così, dall’intercettazione di notizie commerciali utili ad un’impresa o di dati personali necessari ad uno studio legale per la difesa del proprio cliente, si è passati addirittura al coinvolgimento del Mossad, il potente servizio segreto di Israele.

Che l’Italia avesse relazioni strette con l’Agenzia di intelligence israeliana non è affatto una novità dell’ultim’ora; anzi, è da tempo ormai che i nostri servizi nazionali intrattengono rapporti con i colleghi israeliani in occasioni apparentemente casuali o ludiche (come dimostrerebbe la misteriosa vicenda occorsa il 28 maggio 2023 con l’affondamento della barca sul Lago Maggiore durante una gita congiunta di sospetti agenti segreti). Ma che si potesse arrivare da parte israeliana a commissionare – come parrebbe da alcune risultanze dell’inchiesta giudiziaria ora in corso – la raccolta di informazioni ad una società privata italiana alle spalle del nostro Governo è una conclusione avvilente e ancor più deludente. E lo è al punto da indurci a ipotizzare come non sarebbe stato possibile per il Mossad avvalersi di tali soggetti, peraltro ben radicati per esperienza professionale tra le fila della Polizia di Stato, senza una seppur minima connivenza da parte dei nostri servizi.

Un aspetto di questa storia andrebbe comunque affermato: l’Italia troppo si fida delle profferte di amicizia da parte di Tel Aviv. Una disposizione d’animo, questa, che il nostro Paese intratterrebbe peraltro al di là di qualsiasi ragionevole sospetto. Del resto la posizione che l’Italia ha assunto nei riguardi di Israele nell’attuale guerra di Gaza e nel Libano meridionale, getterebbe lunghe ombre sul rispetto del nostro Governo per i valori democratici ai quali la lotta del popolo palestinese si ispira per la propria auto-determinazione. E di tale supposta – ma credibile – connivenza tra le due parti la prova verrebbe evidenziata proprio dalla circostanza fattuale che i soggetti oggi indagati, e accusati di aver violato i server di Ministeri e delle Forze dell’Ordine fin dal 2019, avrebbero già professionalmente militato nelle fila dell’intelligence nostrana.

Dal canto suo, il Primo Ministro Meloni ha, e giustamente, definito tale progetto come una “minaccia alla democrazia”. Ma evidentemente la Premier con tale generica affermazione deve aver sottovalutato non tanto la portata delle azioni commesse da parte italiana, quanto e, soprattutto, l’operato del Mossad che, agendo all’insaputa del Governo, ha posto in essere una vera e propria indebita ingerenza nella libera gestione di affari di esclusivo interesse nazionale dell’Italia. Una aperta violazione della nostra sovranità, dunque. Eppure, nonostante la gravità della intromissione israeliana, nessuna accusa è stata rivolta a Tel Aviv, nessuna condanna è trapelata dalle parole del nostro Governo che possa trovare consistenza in una almeno vibrata protesta diplomatica.

Al contrario, si continua da parte italiana ad appoggiare la causa di Israele in Medio Oriente riconoscendone il sacrosanto diritto all’auto-difesa, ma negando per contro il medesimo diritto – peraltro più che legittimo – al popolo palestinese che attende da ben oltre 75 anni  di vedersi riconosciuto come Stato a termini della Risoluzione dell’ONU n. 181. Una condotta, questa, che ancora una volta testimonia non solo dell’assenza di un obiettivo atteggiamento da parte delle attuali forze di maggioranza nel riconoscere almeno una sostanziale equivalenza morale nella situazione dei due popoli, israeliano e palestinese, ma anche e soprattutto della grave e persistente subalternità della nostra politica estera ai dominanti interessi euro-atlantisti.

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